Aria Nova

con Massimo Wertmuller – Alessandra Costanzo – Maria Teresa Pintus
Scritto e ideato da Pierpaolo Palladino
Scene e costumi Sandro Scarmiglia
Regia Bruno Maccallini

Lo spettacolo consiste nell’unione di due atti unici “Aria Nova” con Alessandra Costanzo e Maria Teresa Pintus e “Il Pellegrino” con l’interpretazione di Massimo Wertmuller.
Questi due testi seppur ambientati nei primi anni venti dell’ottocento, all’indomani quindi del congresso di Vienna, sono diversi nello stile.

pellegrinoAria Nova è fortemente connotato dall’unità di luogo, tempo e azione ossia nell’arco reale della fine di un concerto che si svolge a Palazzo Torlonia. Nel bel mezzo di una festa che ospita i vincitori di Waterloo le sorelle Luciana e Ortensia sembrano divise su tutto ciò che capita a loro. L’una razionale e calcolatrice, l’altra romantica e passionale, sono legatissime per necessità e amore fino alla decisione lacerante che dovranno affrontare entrambe.

Il Pellegrino è un racconto teatrale che viola le tre unità precedenti e da via a numerosi personaggi uomini e donne tutti interpretati da Massimo Wertmuller. Siamo nel secolo scorso, nei primi anni venti a Roma. Ninetto, vetturino che presta servizio con la madre presso il Monsignor Caracciolo, napoletano, viene informato da questi che il nipote, il giovane Conte Enrico, milanese, è ricercato dalla polizia austriaca e verrà quindi a passare un po’ di tempo a Roma in casa dello zio. A Ninetto viene raccomandato di stargli vicino, di servirlo e controllare i suoi contatti nella città, essendo il giovane di chiare idee carbonare e quindi inaffidabile.

Debutti o alcuni dei teatri più importanti delle tournées

ROMA, La Cometa novembre 2001

I giganti della montagna

di Luigi Pirandello con Mariano Rigillo e Anna Teresa Rossini
Scene di AlessandroChiti
Musiche di Germano Mazzocchetti
Regia di Maurizio Panici in coproduzione con APAS

Pensare ai Giganti conduce inevitabilmente a riflettere in profondità sul nostro “fare teatro” e quanto questo “fare” trovi oggi ascolto tra i “Giganti”.
Ma i giganti siamo noi, con le disillusioni, il cinismo, la crudeltà che il “nostro tempo” ci impone e a cui non sappiamo sottrarci.
Così Cotrone e la sua “corte” diventano degli autoesclusi-borderline rifugiati in una villa-fortezza che, come una diga, li difende dal mondo esterno: “siamo agli orli della vita” dice Cotrone alla Compagnia della Contessa invitandoli a restare in quel luogo sospeso, fuori dal rumore e dalle regole della società che li circonda.

La Compagnia – micro comunità chiusa in se stessa, emblema di un’arte sempre più avulsa dalla realtà, gruppo di ectoplasmi colti nel momento finale di un calvario durato troppo e destinati a scomparire – esita, annaspa fino all’arrivo dei Giganti e alla scelta finale di Ilse di rappresentare la “favola del figlio cambiato”.
Non è facile oggi, non è giusto scegliere gli Scalognati o la Compagnia, ma capirne le ragioni sì, guardarli affettuosamente nel loro percorso parallelo in attesa di un incontro, di una riconciliazione che non ci sarà. Spettacolo del disincanto ma fortemente e caparbiamente ottimista nella sua volontà di credere ancora al rito catartico della rappresentazione.
Sospesa tra favola e realtà, come Pirandello stesso del resto ci indica, la vicenda prende corpo allo stesso modo in cui prendono corpo i fantasmi evocati da Cotrone nella stanza delle apparizioni.
Uno spettacolo “difficile” ma assolutamente accessibile, l’ultimo grande testo incompiuto di un autore che ha sofferto in prima persona il dualismo tra poesia e ragione, arte e vita, maschile e femminile.
Maurizio Panici

Debutti o alcuni dei teatri più importanti delle tournées

AGRIGENTO, Settimana Pirandelliana – Piazzale del Kaos 31 luglio 2001
ROMA, Teatro Quirino dicembre 2001
MILANO, Nuovo febbraio 2002
NAPOLI, Teatro Diana

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Ora di Otranto

otrantoResistere e lottare assediati da un esercito che rischia di travolgere e annientare il nostro essere e la nostra storia è ciò che disperatamente hanno fatto, a costo della vita, i poveri pescatori otrantini nel 1480 quando fu loro chiesto di abiurare a ciò che erano e di rinnegare le proprie idee e le proprie tradizioni, ma è una cosa che riguarda anche noi oggi, aggrediti da una volgare sottocultura imperante e invadente che vuole farci parlare americanese, adorare il “vello d’oro” e dimenticare chi eravamo: insomma strapparci l’anima.

Chiunque abbia lottato per la propria identità, sia perché assediato dai turchi o dai cristiani (non è certo questo il punto), per ragioni razziali, idealiste o religiose (comunque e sempre pretesti per giustificare sopraffazioni economiche), capisce bene perché vogliamo portare in scena questa antica storia otrantina di uomini giusti “dalla squisita capacità di comportarsi bene nell’ora destinata” attingendo alle nostre più antiche tradizioni musicali e di teatro da strada. Maria Corti inizia così il suo bel romanzo

Debutti o alcuni dei teatri più importanti delle tournées

OTRANTO luglio 2002
PRATO, Teatro Metastasio maggio 2003

La Locandiera

di Carlo Goldoni

con
Pamela Villoresi
Massimo Wertmuller
e con
Renato Scarpa, Manrico Gammarota, Alessandra Costanzo
Massimiliano Alocco, Maria Teresa Pintus, Sandro Querci

Scene e costumi Aldo Buti
Musiche Luciano Vavolo
Disegno luci Umile Vainieri

Regia
Maurizio Panici

Commedia d’ambiente e di carattere insieme, La Locandiera ci offre una lettura in rilievo della società del tempo e del cambiamento in atto in quel momento, esemplificando in modo significativo i rapporti conflittuali tra le classi sociali. La storia di Mirandolina che sceglie di sposare il giovane Fabrizio fra il corteggiamento di un Conte, un Marchese ed un Cavaliere è sintesi chiara dei rapporti tra borghesia e nobiltà nel momento in cui la nuova classe sociale sta per sostituirsi nel molo egemone alla vecchia.
Ma La Locandiera è anche un perfetto meccanismo ad orologeria di analisi del carattere dei protagonisti e della loro umanità, ove essi diventano fortemente rappresentativi di mondi non comunicanti tra loro. Non a caso Goldoni li caratterizza fortemente con una ben definita area geografica di provenienza, cosicché la locanda in Firenze diventa il centro di un mondo periferico, di una “Italia” ancora in divenire, di un paese delle lingue e dei dialetti.

È’ seguendo questa suggestione che l’allestimento trova uno dei suoi punti di forza: con lo scenografo Aldo Buti abbiamo immaginato la locanda e gli ambienti descritti in commedia al centro del palcoscenico, su una pedana che di volta in volta diventa luogo ideale della rappresentazione ma che è anche zattera sospesa immersa in una pienezza di luci e ombre, dove i protagonisti si incontrano e si scontrano.Gli ambienti sono descritti e suggeriti con pochissimi elementi di scena, fortemente evocativi di un settecento “luminoso”: sottraendo il “costruito” ed eliminando la sovrastruttura si fa più vivo e diretto il rapporto fra gli attori, costretti ad entrare nel “fuoco centrale” della rappresentazione.
Questa soluzione scenica ha evidenziato fortemente la parola che attraverso l’uso della cadenza dialettale degli interpreti diventa punto di forza e sostegno del carattere dei personaggi: così il Conte è un “Napolitano” che si è conquistato il titolo nobiliare con la ricchezza acquisita, il Marchese e un “romagnolo” sanguigno ma oramai svuotato di forza, le due comiche sono espressione vivace di due culture fortemente dichiarate, “romana” una e “siciliana” l’altra, mentre il Cavaliere è un “senese” che ci offre un’immagine burbera di se stesso e del mondo che rappresenta.
C’è una folta rappresentanza di varia umanità in questa commedia, pezzi di mondo che non si relazionano, e così Mirandolina e la sua locanda diventano metafora, luogo ideale per un possibile incontro, ricerca armonica di relazioni impossibilitate a concretizzarsi perché se tutti i protagonisti dichiarano di perseguirle, nessuno in realtà è poi disposto a costruirle, costretti come sono dai ruoli assegnati loro dalla storia e quindi destinati ad altro compito. Il Marchese, il Conte ma soprattutto il Cavaliere usciranno sconfitti da questo corteggiamento e di conseguenza Mirandolina tornerà ad essere una perfetta locandiera e la locanda, con il suo ritrovato equilibrio, tornerà ad essere una “semplice” azienda da gestire con accortezza. Maurizio Panici

Debutti o alcuni dei teatri più importanti delle tournées

PARIGI, Théatre des Italiens maggio 2000
VERONA, Teatro Romano – luglio 2000
MILANO, Teatro Nuovo gennaio 2001
ROMA, Teatro Eliseo marzo 2001 – Teatro Ghione gennaio 2003

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Giulio Cesare

adattamento drammaturgico di Maurizio Panici

Cassio Giuseppe Argirò – Bruto Leandro Amato – Antonio Edoardo Sylos Labini
Casca Francesco Cutrupi – Cinna Francesco Frangipane – Ottaviano Fabio Ferri

Cesare Maurizio Panici

Scene e costumi Tiziano Fario
Musiche originali Paolo Vivaldi
Disegno luci Camilla Piccioni

Regia Maurizio Panici

Giulio Cesare è la prima vera tragedia problematica di William Shakespeare, anticipatrice della trilogia più famosa e conosciuta delle grandi tragedie (Amleto, 1601), (Otello, 1604), (Macbeth, 1606) dove l’autore ci presenta conflittualmente i turbamenti più profondi e i drammi non solo dell’animo umano, preda continua di emozioni e violente passioni, ma dell’universo stesso in cui tragicamente vive e opera.
Ed è questo ricollocare al centro l’operato individuale rispetto alla storia, che fa di questo “dramma romano” un esempio di come l’invidia di Cassio, la problematicità di Bruto, o la stessa maestosità del ruolo di Cesare siano determinanti alla complessità della situazione storica e delle scelte conseguenti che la stessa impone. A partire da questa riflessione, questo Giulio Cesare si muove drammaturgicamente da un brusio indistinto fatto di voci, suoni e ossessioni al cuore di ognuno dei protagonisti, eliminando così ogni contesto storicizzante, isolando le ragioni di ognuno e riconsegnando la storia di un gruppo di uomini travolti dalle invidie, vinti dalle certezze, contagiati dalla crudeltà e dal caos, intrisi di furore e di tensione insopportabile mai acquietata se non di fronte alla morte. Maurizio Panici

Debutti o alcuni dei teatri più importanti delle tournées

ROMA, Argot Studio ottobre 2002

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Troilo e Cressida

da William Shakespeare
Commedia nera con musica di Stefano Antonelli – Maurizio Panici

regia Maurizio Panici

scene e costumi Tiziano Fario

con Sara Alzetta (Cressida) – Francesco Biscione (Achille) – Simone Colombari (Priamo) – Luana Colussi (Elena) – Fabio Ferri (Patroclo) – Massimiliano Franciosa (Troilo) – Manrico Gammarota (Agamennone) – Patrizio La Bella (Diomede) – Antonio Latella (Aiace) – Edoardo Leo (Ettore) – Giovanna Magliona (Cassandra) – Jerry Mastrodomenico (Enea) – Danilo Nigrelli (Ulisse) – Ivan Polidoro (Paride) – Sandro Querci (Attendente – Servo) – Giancarlo Ratti (Pandaro) – Rolando Ravello (Tersite) – Roberto Tesconi (Nestore)

musiche dal vivo Novalia
direzione artistica della parte musicale Paolo Dossena

E’ una produzione Argot – C.N.I. – Zone Attive 

Shakespeare e Omero, le musiche dei Novalia, un agguerrito gruppo di interpreti, uno sperimentato autore dell’ultima generazione, un regista che crede in un teatro popolare – nel senso in cui lo è sempre stato il teatro classico -, capace di coinvolgere anche il pubblico giovane.
Questo è il Troilo e Cressida, che verrà presentato a Roma, in prima assoluta, sabato 29 maggio alle ore 20.30 al Mattatoio di Testaccio nella giornata inaugurale della IX Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo, unica rassegna internazionale sulla produzione artistica e culturale dei giovani.
Come spesso accade in Shakespeare, Troilo e Cressida è un doppio, perché se da un lato racconta la storia d’amore tra il figlio minore del re di Troia e la figlia di Calcante, l’indovino che, avendo previsto la caduta della città, passa dal campo troiano a quello greco, dall’altro conduce un’analisi profonda sul tema della guerra. E la guerra è l’azione essenziale del dramma, sempre presente, come un continuo paesaggio sonoro: se ne avvertono gli echi, i cupi rimbombi di morte nelle minacce che i protagonisti si scambiano, nei duelli, nelle sfide non concluse. E sulla guerra punta decisamente la rilettura del testo condotta da Maurizio Panici e Stefano Antonelli, che rendono contemporaneo il linguaggio, avvicinandolo a quello delle nuove tribù protagoniste dei conflitti di questa fine secolo.
Troilo e Cressida, è un testo corale, una drammatica metafora del nostro mondo, che diviene spettacolo disincantato e crudele, mai estetizzante, sulla guerra, sui conflitti violenti che paradossalmente esplodono proprio mentre si afferma come necessaria una visione multirazziale e pluriculturale della società.
E la musica etnica, aperta a tante contaminazioni, dei Novalia, appare ideale per esprimere in maniera immediata e coinvolgente quest’idea dell’incontro di culture diverse, mentre all’Iliade di Omero – più volte citata e cantata – è affidata la cifra epica di questo racconto in forma di concerto.

Debutti o alcuni dei teatri più importanti delle tournées

ROMA, Biennale dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo giugno 1999
ROMA, Teatro Olimpico marzo 2000

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Tre Sorelle

di Anton Cechov
Prozorov, Andrèj Sergèevic – Fabio Bussotti
Natalja Ivànovna (Nataša) – Antonella Attili
Olga – Valeria Ciangottini
Maša – Pamela Villoresi
Irina – Silvia Budri
Kulygin, Fëdor Ilìc – Maurizio Panici
Veršinin, Aleksàndr Ignàtevic – Manrico Gammarota
Tuzenbach, Nikolàj Lvovic, barone, tenente – Sergio Basile
Solënyi, Vasilij Vasílevic, capitano – Sandro Querci
Cebutykin, Ivàn Romànovic, medico militare – Renato Campese
Ferapònt, vecchio usciere – Giorgio Barlotti
Anfisa, vecchia balia – Lucia Ricalzone

Regia
Maurizio Panici

Scene e costumi: Aldo Buti – Musiche: Paolo Vivaldi – Luci: Giuseppe Ardizzone

TRE SORELLE (Maša, Olga, Irina), tre corteggiatori (Veršinin, Tuzenbach, Solenyj), tre insoddisfatti (Nataša, Andrej, Cebutykin): è un carillon di appuntamenti mancati il grande capolavoro cechoviano. Mancati sono gli incontri tra Veršinin e Maša, tra Irina e Tuzenbach, tra Cebutykin e Olga. Mancati gli appuntamenti con gli ideali, il lavoro per Tuzenbach e Irina, un mondo migliore per Veršinin e Maša, un amore per Olga e Cebutykin.
TRE SORELLE è la storia di un’assenza, una condizione da cambiare e invece l’impossibilità di farlo, di determinare il cambiamento: è proprio questo che rende il testo così attuale.

Mettere in scena oggi TRE SORELLE è squarciare il velo della forma, ridere delle vuote cornici delle tristi consuetudini, dei buoni propositi mai portati a compimento. Cechov è il padre di una drammaturgia del “presente”, della ricerca dell’attimo, dello stare in ascolto; la sua folla di personaggi è paragonabile ai grandi affreschi goldoniani, e come Goldoni ci fa sorridere di questa nostra goffa umanità, lo fa con affetto, mai con cattiveria, con ricchezza e colore.

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Acapulco

di Yves Jamiaque
Valeria Ciangottini – Renato Campese – Leandro Amato
Stefania Castiglion – Marco Serino

Traduzione e adattamento
David Norisco

Musiche
Paolo Vivaldi

Scene e costumi
Claudia Cosenza

Regia
Maurizio Panici

Dopo aver portato in scena, ricevendo ampi riconoscimenti, la commedia dell’inglese Donald Churchill, Momento di debolezza, la coppia di attori Ciangottini-Campese continua a proporre testi teatrali in cui si indagano le sfumature dell’animo umano con humour, sensibilità e verità.
Acapulco è una commedia brillante in cui una donna – moglie e madre – tra mille incertezze combatte per ritrovare la sua individualità all’interno di una famiglia poco attenta alle sue esigenze. Lo squillo del telefono e una voce suadente rompono gli equilibri e il tran-tran quotidiano di una tranquilla famiglia creando situazioni divertenti e talora paradossali, ove le piccole cattiverie e disattenzioni dei parenti ci fanno sorridere con partecipazione e simpatia.
Autore teatrale, televisivo e radiofonico, Yves Jamiaque ha scritto numerose pièces che sono state rappresentate in molti paesi, dagli Stati Uniti, all’America Latina, alla Spagna, Portogallo, e in particolare in Germania e in Russia. Ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti fra i quali il Prix des U, il Grand Prix de la Ville d’Enghien, il Prix Ibsen e il Challenge Théâtre di Bruxelles. Con Acapulco Madame, messo in scena nel 1976 al Théâtre de la Michodière, Jamiaque ha ricevuto il Prix Antenne 2, assegnato alla migliore pièce teatrale dell’anno.

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Barbara

Argot – Produzioni

Barbara

di Angelo Orlando
Valerio Mastandrea- Rolando Ravello – Massimiliano Franciosa
Fabio Ferri- Elisabetta Larosa – Barbara Bonanni
Scene e Costumi
Paki Meduri

Musiche
Daniele Silvestri

Regia
Angelo Orlando

…Una semplice e riuscita commedia leggera con attori che fanno ridere. Infatti Valerio Mastandrea e Rolando Ravello in questo non si risparmiano, ben coadiuvati da Fabio Ferri che appare più volte in uno sketch variato, gustoso ed esilarante.
Mastandrea e Ravello sono ammanettati alla spalliera di un letto, in mutande. Il riferimento immediato è al mondo dei giochetti sadomaso con telecamera…
Sono due avvocati rampanti, stressati e poco felici. Durante l’attesa di Barbara, pare sia quella che li ha legati, scorrono immagini di ossessioni di vita quotidiana, disagi e nevrosi.
…Una notte di ordinaria follia salutata da applausi e molte risate.

Luca Archibugi “Il Corriere della sera”

Due uomini, due giovani avvocati, presumibilmente single non per scelta, si ritrovano ammanettati al letto di una fantomatica amica “Barbara”. Aldo (Valerio Mastandrea) la conosce bene, ha avuto in passato una relazione con lei e la descrive come una ragazza con tendenze violente e fobie poco rassicuranti. Pino (Rolando Ravello) è la vittima consenziente di un gioco non troppo spassoso e fa presto a convincersi che un rito satanico o una diavoleria affine è all’origine della loro permanenza forzata in una casa frequentata da individui quantomeno sospetti.
Davanti ai due prigionieri sfila infatti una serie di personaggi che impersonano – spinte all’eccesso – le perversioni umane ridotte a caricature, per lo più pulsioni feticistiche per una telecamera, ovvero il piccolo schermo nelle sue massacranti irruzioni nella quotidianità (si può pur sempre decidere di tenerlo spento).
Un punto di vista forzato, la ringhiera del letto, costringe i due a riflettere sui mali di ogni secolo: la solitudine, l’amore, il lavoro, i compromessi, cui si aggiunge la poca privacy (la libertà) che l’uomo moderno deve imparare a difendere dai grandi occhi che lo seguono anche in bagno…..

Paolo Polidoro “Il Messaggero”

Barbara” è una sorta di paradigma bechettiano, che forse un pò presuntuosamente guarda a Godot, il paladino inesauribile dell’attesa della sospensione, icona inguaribile di quell’assurdo gioco che è la vita. E allora chiedersi chi è questa Barbara che forse arriva forse no, che aleggia e ognuno vede a modo suo, che impariamo a conoscere indirettamente attraverso le sue vittime, diventa un lecito esercizio di memoria e un brillante esercizio di stile….

“Il Tirreno”

Valerio Mastandrea non è un attore da restare tranquillo. E così dopo essere stato scoperto qualche anno fa da Pietro Garinei ed aver caracollato tra i sentieri della notorietà interpretando il ruolo di Rugantino, ha avuto il coraggio di abbandonare la ribalta del Sistina…
Oltre Valerio Mastandrea protagonista Rolando Ravello nei panni dell’amico avvocato, il cast vede Massimilano Franciosa, Fabio Ferri, Elisabetta La Rosa, Barbara Bonanni tutti attori che stanno bene nei propri diversificati ruoli…

Renato Ribaud “L’Avanti”

….La storia nel complesso diverte e appassiona il pubblico…
Appropriate le musiche firmate da Daniele Silvestri e bravi gli attori…

“Il Tempo”

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Romeo e Giulietta

Storie d’oggi, ma anche storie del passato; ragazzi che si battono per noia, bande che si provocano in continuazione, morti inutili, il mondo degli adulti sempre più distante da quello dei ragazzi. … Mondi sempre più distanti tra loro, e al centro di questo universo due ragazzi che decidono con il loro amore di “esporsi”; due “senza pelle” che si offrono inconsapevoli vittime sacrificali di una possibile riconciliazione. …
E’ una storia affascinante perché parla direttamente della nostra umanità come solo sa fare un grande poeta, forse tra tutti il più grande. E questo spettacolo è il nostro omaggio ad un mondo che con la perdita dei valori importanti, si sta pericolosamente frantumando, ma che forse solo attraverso un grande atto d’amore come quello di “Romeo e Giulietta” può rinascere. Maurizio Panici

“C’è una gran foga, una gran voglia di battersi, di provocazione … fra i ragazzi dei Montecchi e dei Capuleti. Ma anche un gran bisogno di amore, al di là del piacere della caccia erotica, e la giovinezza è il segno distintivo dei protagonisti di questo spettacolo, che sembrano vivere i loro personaggi come se si trovassero all’interno di un inquieto psicodramma collettivo, nel rifiuto più completo della disciplina …” Maria Grazia Gregori (l’Unità – 30 luglio 1995)
“…. il cuore selvaggio degli amanti batte al ritmo delle percussioni che commentano dal vivo ogni passaggio della vicenda, giocano con echi antichi e suggestioni etniche, arrivano a tentare il coro con il rap. E, sullo sfondo di una finta architettura gotica, merletto che il tempo ha già spruzzato con la sua cenere, la chiesa di Sant’Agostino s’incendia di color porpora. ‘Romeo e Giulietta’, l’ultima provocazione. … è un susseguirsi martellante, atletico … sciabolato da luci che fanno scoprire all’improvviso meraviglie sempre nuove, senza noia…” Silvana Zanovello (Il secolo XIX – 30 luglio 1995)

Debutti o alcuni dei teatri più importanti delle tournées

BORGIO VEREZZI, Festival – luglio 1995
MILANO, Ciak dicembre 1995
ROMA, Teatro Quirino gennaio 1996

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