Il Cambusiere

Il Cambusiere 

o Sfida al Nostro Nord

di Giuseppe R. Baiocco 

con Edoardo Siravo e Alessandra Fallucchi

regia Maurizio Panici

scenografia Francesco Ghisu
video
 Andrea Giansanti
musiche
 Francesco Giuffrè
costumi
 Lucia Mariani
brani lirici
 cantati da Simonetta Chiaretti accompagnata dal M° Sean Kelly 

A cavallo tra il secolo del positivismo, l’Ottocento, e quello del dubbio, il Novecento, un umile cuoco di provincia viene chiamato dal Duca Amedeo d’Aosta per una spedizione impossibile. Il Polo Nord, estremo geografico e psicologico. Igino Gini, nato ad Acquapendente e vissuto in parte a Orvieto, viene chiamato a bordo della Stella Polare a sostituire un cuoco norvegese imbarcandosi senza paura. Fra mille disavventure, tre compagni che spariscono nel nulla, il cibo che scarseggia e costringe i venti uomini a uccidere e mangiare orsi e cani da slitta, la forte incertezza che la nave danneggiata dai ghiacci riesca a riprendere il mare per il ritorno, il Cambusiere vive l’acme della sua vita in un posto dove l’uomo è mal tollerato da una natura ostile e impervia. A fare da contraltare al Cambusiere c’è, in scena, la Figlia, tutt’ora vivente, che ripercorre la storia con emozione e distacco critico al tempo stesso.

Si tratta di un’opera che si inserisce nel filone del teatro di narrazione, dove si fa un uso esplorativo dello spazio e del tempo. Dove la vita è vista come possibilità e apertura, che ha come conseguenza la competenza sui limiti attraverso il desiderio di oltrepassarli.
E’ un testo sul passato che parla del presente e ipotizza una via d’uscita per il futuro.

Giuseppe R. Baiocco è stato, brevemente, attore professionista con A. Lionello, L. Squarzina, C. Zavattini. Ha pubblicato, fra l’altro, Il Mancinelli, storia e vita di un teatro, Stampa Alternativa, 2006, e vari racconti aggiudicandosi premi e segnalazioni.
Il Cambusiere
 ha ricevuto una segnalazione al “Premio Fersen 2008 per la promozione e la diffusione della drammaturgia contemporanea italiana”, presieduto da uno dei più illustri critici teatrali italiani, Ugo Ronfani.

Il Cambusiere è stato pubblicato da Annulli Editori nel 2009.

Orizzonti

ORIZZONTI
di  Marzia G.Lea Pacella, Luca Pizzurro, Claudio Storani

con Domenico Diele, Elisa Di Eusanio, Luca Garello, Daniele Orlando, Rocco Piciulo, Angela Russian

Costumi Laura Rhi Sausi

Luci   Sara Pascale
Musiche   Fabrizio De André
Regia Maurizio Panici

<Un diavolo e un angelo  tirano l’uomo a destra e a sinistra e non gli lasciano appoggiare i piedi sulla terra, lo coinvolgono sempre in situazioni più grosse di lui, sia nel bene che nel male> (De Andrè)

Nato come progetto speciale di formazione (2007-08), coordinato dall’autore quebecchese Michel-MarcBouchard, da quest’anno Orizzonti diventa un appuntamento nuovo e importante che, con toni ironici e grotteschi, riflette sulla vita di oggi e  vede coinvolti un gruppo di giovani attori, coordinati e diretti da Maurizio Panici.
Il tema della morale, così importante e attuale viene mostrato nella sua complessità e proposto con l’intento di suscitare interrogativi senza offrire risposte.
Le parole di Fabrizio De Andrè arricchiscono, animano i testi e aiutano a restituire il senso molteplice delle tematiche affrontate.

Amore e Psiche

LA FAVOLA DI AMORE E PSICHE
di Apuleio 

Reading di Monica Guerritore

Riduzione e adattamento Enrico Zaccheo e Monica Guerritore 

Apuleio
“La Favola di Amore e Psiche”

La  lettura della  favola di Amore e Psiche  al pubblico può restituire in tutta la sua incredibile profondità , semplicità e leggerezza lo spessore di questo gioiello, il suo mistero, il suo “senso”: l’attrazione verso la bellezza assoluta  (Dio) la sete di conoscenza, l’insistente ricerca di “sacro” che è presente nell’uomo  in tutte le epoche.
Ma alla divinità ci si accosta con umiltà, con fede. C’è bisogno di quel cambiamento di prospettiva, quell’azzeramento del già conosciuto che viene da sempre raccontato nelle fiabe “ caduta-conversione-risalita”.
Le prove  come  cambiamento dell’orientamento interiore, un inversione di rotta.Il desiderio  di una maggior consapevolezza  che essendo osteggiata costituisce già in sé un ulteriore prova(”Voglio vedere…voglio sapere…voglio conoscere..”dirà Psychè)
Solo dopo la caduta, precipitati alla massima distanza dal luogo che costituisce la meta ultima,il Dio Amore/Eros e la fanciulla Psychè/Anima  si  congiungeranno.

Un favola   popolare, spesso  comica, semplice come le grandi opere raccontata  direttamente al pubblico .Il Requiem di Mozart  che accompagna Psiche alle nozze funeree, le note di Nyman e i fotogrammi di Lezioni di Piano quando resta sola sulla rupe, la voce di Amalia Rodrigues che accompagna la  sua ricerca di Eros rendono il racconto forte e contemporaneo. E divertente…

Marlene

ASSOCIAZIONE TEATRALE PISTOIESE  –   ARGOT PRODUZIONI

PAMELA VILLORESI   –    DAVID SEBASTI

MARLENE

novità assoluta di Giuseppe Manfridi

con Silvia Budri Cristina Sebastianelli

 Con la partecipazione di ORSO MARIA GUERRINI

Scene  Andrea Taddei
Costumi Lucia Mariani
Musiche originali di Luciano Vavolo
Regia Maurizio Panici

Canzoni di F. Hollander, N.Schultze, P.Siger, L.Brown, B.Bacharach

Note dell’ autore

villoresi02”Marlene”, come Marlene Dietrich, e la Dietrich è la protagonista di questa commedia che, penetrando nel “dietro le quinte” della sua vita, scandisce in tre capitoli le vicende di un’avventura umana sensazionale.

Il primo capitolo è ambientato a Londra, nel 1954. Hollywood sembra aver voltato le spalle all’attrice, e il teatro si propone alla Dietrich come un’ importante occasione di riscatto artistico. Siamo in un’elegante suite d’ albergo. E´ la mattina del giorno in cui Marlene, cinquantenne, dovrà debuttare con un fastoso recital al `Cafè de Paris´, sala da duemila posti che si annuncia esaurita. Lo spirito dell’atto è brillante, di estrema leggerezza, e sfocia nel confronto tra la diva e il suo grande pigmalione, Joseph Von Sternberg (regista de “L’Angelo azzurro”), insieme al quale la donna rivivrà l’incredibile provino in cui lui la scelse per la parte di Lola.

Il secondo capitolo ci porta a un pomeriggio di sei anni dopo, nel 1960. L’azione è ambientata nel camerino di un teatro di Berlino, città dove Marlene è tornata dopo molti anni di assenza. Anche stavolta siamo a poche ore da un concerto. Coprotagonista dell’atto è il musicista Burt Bacharach, a quell’ epoca trentenne, di grande avvenenza, ancora semisconosciuto, ma dal talento assai percepibile.
Marlene deve a lui gran parte delle orchestrazioni per i suoi concerti. E’ evidente che fra i due vibra una potente corrente eroticoguerrinia.

Il terzo capitolo ci fa fare un balzo nel tempo ancora più brusco. Siamo nel 1975. A Toronto. Di nuovo in una suite d’hotel ma tradotta in
camerino. Marlene, infatti, sempre più incline all’alcool e afflitta da varie sofferenze fisiche, è da un paio d’anni costretta a esibirsi negli stessi alberghi in cui alloggia. E’ sera, e il “Chi è di scena” annuncia che manca mezz’ora all’aprirsi del sipario.
Questa terza parte corrisponde a un faccia a faccia impietoso, ma anche ironico e divertente, con la figlia Kater, creatura costretta a una vita defilata e sempre rimessa al servizio di una madre tanto ingombrante.
A chiudere il capitolo e la commedia sarà un colpo di scena decisivo che chiamerà nuovamente in causa Sternberg, il Mefistofele a cui Marlene si è offerta per tutta la vita come a un seducente e pericoloso Faust.

Lo spettacolo prevede un’ importante presenza musicale, con l’esecuzione di alcuni brani resi celebri dalla Dietrich: su tutti, “Lilì Marlene”.

Giuseppe Manfridi

 

NOTE DI REGIA

dsebastiNel nome della protagonista – Maria Magdalena – è già segnato il percorso umano e artistico che per decenni e fino ai nostri giorni, ha sollecitato l’immaginario collettivo, consegnando al mondo l’icona di una bellezza prima ferocemente costruita e poi tenacemente mantenuta fino all’inevitabile declino.

Di questa discesa il testo di Manfridi è testimonianza.
Marlene è una “via crucis” dolorosa, che parallelamente all’alimentarsi del mito fa sprofondare la protagonista nelle pieghe più “umanamente degradate” : i rapporti con gli uomini, gli innumerevoli amanti , un marito che rimane sempre sullo sfondo, una figlia che si occupa di lei fino alla fine ma con cui ha un legame difficile.

Sullo sfondo si muove la Storia che cambierà l’ordine naturale delle cose: Marlene l’attraversa cercando comunque di proteggere il suo mito, essendo la prima icona moderna consegnata alla nostra inesauribile e insaziabile voglia di eterna bellezza attraverso le luci e le ombre create dal suo “mefistofelico” amante e mentore Joseph Von Sternberg.

Marlene come una riflessione sulla necessità di creare “miti” ma anche, soprattutto, la storia di una donna fragile/indistruttibile, sezionata nei suoi affetti, nei suoi rapporti, che impietosamente si mostra nella sua terribile alterità fino alla consegna finale attraverso uno struggente e infinito piano sequenza diretto dal suo maestro di sempre.

Un testo, questo di Manfridi, nella grande tradizione nordica che comincia con August Strindberg e arriva fino a Ingmar Bergman.

Le canzoni saranno il filo rosso di questo spettacolo, per ricomporre pienamente il quadro di un’epoca fortemente dolorosa, segnata dalla guerra da cui disperatamente si cercava una via di uscita.

La scena è uno spazio mentale della memoria dove la protagonista ritrova le figure più importanti della sua vita in una “danza di morte” di strindberghiana memoria.

Maurizio Panici

Rassegna Stampa:

Oltre il mistero dell’Angelo Azzurro 

Pamela Villoresi è attrice sul serio, una di quelle che conosce il mestiere e, pur facendolo da tanti anni, lo alimenta senza sosta, ne accresce le prerogative, gli offre vie nuove. Non stupisce di trovarla nei panni della Dietrich sul palcoscenico del Quirino di Roma, protagonista della “novità” di Giuseppe Manfridi Marlene, che ritrae la diva tedesca nell’ultimo periodo della sua avventurosa esistenza. Il drammaturgo, coglie il tramonto, segnato di luci e d’ombre, di un mito del Novecento. Che per lo più non si agguanta. Ma basta ritenerlo almeno accostabile per gustare lo spettacolo con la regia di Maurizio Panici.
Prima tranche, 1954: Marlene, ostracizzata da Hollywood, si allontana dal cinema per abbracciare il teatro. Il debutto al Cafè de Paris, duemila posti tutti venduti, la galvanizza. A 50 anni è ancora bella, fascinosa, ambigua, voce inimitabile, corpo perfetto, grande professionalità. Restituirci tutto questo con evidenza carnale è il cimento della Villoresi. Abbiamo detto che la leggenda di Lola Lola, il suo mistero, sono quantomeno ostici. Eppure….
Secondo capitolo. Marlene, vicina ai sessanta, è a Berlino, sempre in teatro. Un giovane musicista, Burt Bacharach (David Sebasti), metà degli anni della diva, bello, bravo e ancora senza fama, firma l’orchestrazione di tutti i motivi che lei interpreta. E ne subisce il carisma, artistico ed erotico. A Toronto, nel 1975, l’epilogo. La Dietrich, ormai dedita al bere e piegata dagli acciacchi, dà spettacolo prevalentemente negli alberghi in cui alloggia. La circondano i ricordi, i fantasmi del passato e la figlia, qui Kater, nella realtà Maria Riva, la donna che prenderà rilievo solo dopo la pubblicazione, postuma, di un’impietosa e forse ingiusta biografia della madre. Anatomia di una leggenda. Maurizio Panici la compie in modo analogico, usando specchi e personaggi: la cameriera Tami (Cristina Sebastianelli), lo Sternberg di Orso Maria Guerrini, la Kater di Silvia Budri.

Il Messaggero – Rita Sala. –  9 maggio 2009

 

Al Quirino la “Marlene” di Pamela Villoresi

L’attore è sempre un bel soggetto per un drammaturgo: è un personaggio bell’e pronto, si può dire, con quel suo istrionismo naturale, di persona. E come attrice Marlene Dietrich resta unica nel divismo internazionale per le sfaccettature di una personalità esplosiva (lodiamo la tv che ce ne conserva memoria). Tanto da avere indotto Giuseppe Manfridi a fare di lei un ritratto teatrale in “Marlene”, in scena al Quirino, con Pamela Villoresi protagonista aderentissima al profilo crudo tracciato dall’autore. Dice Manfridi di aver voluto estrarre “l’avventura umana sensazionale”. Non direttamente la “femme fatale” della scandalosa Lola Lola de “L’angelo azzurro” o l’ammaliatrice de “L’imperatrice Caterina” ma soprattutto i decenni ’60 – ’70 di eclissi dell’attrice, allorché all’Europa e all’America si ripropose cantante in luccicanti concerti e via via in esibizioni dove ormai era la triste ombra di se stessa, alla deriva. E’ qui nel ripiegamento che il personaggio evoca il passato, il legame torbido col regista Von Sternberg, e conflittuale con l’arrangiatore Bacharach, fra quelli che hanno veramente contato nel cammino di Marlene, artista e donna. Emergono scabrosità libertine, e la disperazione anche nel confronto con la figlia.
E risuonano le canzoni che Marlene rese famose e che la Villoresi intona arieggiando l’originale. Regia calibrata di Maurizio Panici.

Avvenire – Toni Calotta – 10 maggio 2009

 

La “via crucis” della fatale Marlene 

Si conferma una volta di più l’eclettica disinvoltura con cui Pamela Villoresi affronta i personaggi più disparati. In questo caso, si tratta di Marlene Dietrich, l’icona della sensualità, la musa ispiratrice, la diva “maledetta”, l’angelo azzurro per eccellenza, che esprime una femminilità tanto erotica quanto inafferrabile.
“Marlene” si intitola il testo di Giuseppe Manfridi, in scena fino a domenica al Quirino con la regia di Maurizio Panici. La testimonianza drammaturgica di  una “via crucis” esistenziale, quella della protagonista, che lo spettacolo accompagna dagli anni ruggenti del suo fulgore fino alla vecchiaia. Un percorso impervio che, nel testo di Manfridi, mira a scarnificare la personalità contorta e controversa dell’attrice, restituendone non tanto la biografia pubblica, quanto piuttosto l’intimità privata, più segreta e riservata.
Ne scaturisce un ritratto inquietante, segnato da un destino che, sia pure nell’apparenza dorata del mito cinematografico, ha qualcosa di sinistro, di nefasto.
La troviamo nel primo atto una donna rigogliosa, all’apice del successo, circondata da una corte di amanti, con un marito confinato sullo sfondo e una figlia, che resterà con lei fino gli ultimi giorni (Marlene è morta a 90 anni nel 1922),ma con cui avrà sempre un rapporto conflittuale. La ritroviamo radicalmente trasformata nel secondo atto, cupa e grifagna, una donna sola, ormai ridotta alla resa dei conti con la propria conoscenza.
Un’icona, una star, un mito, ma in realtà una donna fragile e ostinata, che compie fino in fondo la parabola della sua esistenza,senza potersi risparmiare il dolore e la condanna all’infelicità.
Un personaggio che la Villoresi incarna con impietosa sincerità, ma soprattutto con passione e coinvolgente sensibilità, nel contesto della regia vigili di Panici. Accanto alla protagonista, Orso Maria Guerrini.

Corriere della Sera –  Emilia  Costantini. – 15 maggio 2009

 

La memoria di una vita 

(…) in primo piano sono i capricci da diva ed il narcisismo, le sue fragilità e frustrazioni, i momenti di solitudine ma anche i lampi di cinica ironia, la complicata ed insoddisfacente vita amorosa e familiare. Ed anche i ricordi ed i dialoghi con Sternberg e Bacharach, che pur se morti o lontani, si materializzano nella sua vivida immaginazione. Così viene rievocato e rivissuto il provino che, molti anni prima, la portò ad essere scelta da Sternberg per interpretare il personaggio di Lola; e che lo stesso regista narra, come in una sequenza cinematografica, il penoso dietro le quinte di una Dietrich malata ed in sedia a rotelle, che precede la sfolgorante entrate in scena con cui termina la rappresentazione. I grande impatto le esecuzioni delle canzoni che l’hanno resa celebre, interpretate da Pamela Villoresi enfatizzando il contrasto tra smaglianti trionfi ottenuti in passato e l’incerta e declinante situazione attuale.
I colori delle scene e dei costumi contribuiscono a sottolineare gli stati d’animo della diva: nelle stanze d’albergo e nei camerini predomina il nero, illuminato dai bagliori delle lampadine che contornano gli specchi davanti a cui si sistema il trucco.
Gli abiti giocano con i contrasti dell’oro, come lo sfarzoso abito con cui esce in scena alla fine, ma soprattutto gli opposti colori del bianco e del nero, allusioni alla neve con cui Marlene si immedesima, che, come nel finale di un racconto narratole molti anni prima da Sternberg, ricopre tutto, i vivi e i morti.

Claudia Volpato – Non solo cinema – 25 novembre 2008.

 

Pamela splendida Marlene 

(…) La Dietrich è colta in situazioni intime – camere d’albergo o camerini –  subito prima dei suoi show. Ripassa le sue più celebri canzoni, prova i suoi costumi (ottimo il lavoro di Lucia Mariani) e si confronta con i suoi storici compagni di strada: dal regista Josef  Von Sternberg  (Orso Maria Guerrini) a Burt Bacharach (convincente l’interpretazione di David Sebasti), dalla figlia kater (Silvia Budri) fino alla sua amante donna, Tami (Cristina Sebastianelli). Il tema è affascinante e ben svolto. 

  1. Vitali Rosati – Corrieri Fiorentino –  11 novembre 2008

 

Marlene Dietrich sul palco del Toniolo di Mestre 

(…) a collegare la dedica teatrale con il mondo cinematografico di cui Marlene fu ed è tuttora gloriosa icona, Josef von Stendberg (Orso Maria Guerrini). Degno di nota il finale da lui diretto: una Marlene in sedia a rotelle nelle mani della figlia viene guidata dalla voce del regista che si fa macchina da presa, in una descrizione cinematografica dove l’ausilio di incisive luci e ombre crea un’immagine  esteticamente scultorea.

Elena Ballarin – Non solo cinema –  25 novembre 2008 

 

Marlene – Il viale del tramonto di una grande attrice 

(…) della vita di Marlene Dietrich e delle sue coraggiose scelte di vita viene presentata non la sfolgorante carriera in cui ha dato il meglio di sé, ma solo la fase finale, il viale del tramonto appunto, in cui la prorompente forza vitale diventa nostalgia e il patetico giovanilismo dell’impietosa vecchiaia.
Merito della Villoresi – Marlene è l’aver reso con assoluta efficacia come queste grandi attrici, tutte prese dalla loro carriera artistica, lasciano sullo sfondo quella realtà della vita a cui la comparsa delle prime rughe inesorabilmente richiama.

Ferdiando Offelli –  Thienenet – 24 dicembre 2008

NIENTE PIU’ NIENTE AL MONDO

NIENTE PIU’ NIENTE AL MONDO

Di Massimo Carlotto

Con Crescenza GUARNIERI

Adattamento e regia Nicola PISTOIA

npnam_scena2Crescenza Guarnieri, sola in scena, indossa una sottoveste cinese da 12.90 euro, ha una bottiglia di vermuth in mano, parla da sola. Sullo sfondo la Torino dei quartieri operai, che operai non sono più e che producono: mancanza di lavoro; totale assenza di prospettive di una vita “di qualità”; la pensione e la difficoltà di sbarcare il lunario quando non si è più produttivi. Ferisce l’assenza di strumenti culturali per opporsi allo squallore dell’esistenza, mentre la televisione è l’unico modello, sbocco e sfogo. La donna come in un delirio straziante e ironico e mai patetico, rievoca la propria storia e quella della sua famiglia, spiattellando cifre, prezzi, marche di prodotti, promozioni e trasmissioni tv

Rassegna Stampa:

Il piccolo miracolo di un a solo che raffigura lo stento più fosco e delirante e che contiene una sublimazione ancora più atroce…è un tracciato di parole e silenzi che l’adattore e regista Nicola Pistoia ha molto ben ricavato da un libretto di Massimo Carlotto, potendo far affidamento su un’attrice di insolita e acre  tempra, Crescenza Guarnieri.

 (2/1/2006 R. Di Giammarco “La Repubblica”)

 

Testo duro e spietato ma velato da un senso dell’ironia  che serve a stemperare i momenti più forti grazie a un accento pugliese che la Guarnieri regala al suo personaggio.

 (2/12/2005 G. Capitta  “Il Manifesto”)

 

Crescenza Guarnieri lavora con abilità su questa figura a un testo appena asciugato da Nicola Pistoia che ne firma anche la regia.

(5/12/2005 Paolo Petroni “Corriere della Sera”)

 

 

Stati emotivi che Crescenza Guarnieri (attrice sensibile ed eclettica che ci colpì molto in uno spettacolo sui desaparecidos intitolato Tango e qui ritroviamo quanto mai matura, intensa e toccante) attraversa con estrema fluidità.

(3/12/2005 Laura Novelli “Il Giornale”)

 

Bravissima la Guarnieri che riesce a farti metabolizzare le parole quasi prima di essere cosciente di averle ascoltate.                                                                            

(F. Chiantese “Giro di vite”)

Speranza e bellezza sono apparse nell’interpretazione calda, intensa, appassionata e sincera della Guarnieri che, da sola per oltre un’ora, ha inchiodato l’attenzione del pubblico presente ed è riuscita a rendere eloquenti le pause e i silenzi.

(13/8/2005 Marco Fè “Corriere di Siena”)

Adattato e messo in scena da Nicola Pistoia che dirige una brava attrice, Crescenza Guarnieri 

(22/12/2005 M. Lucidi “Avvenimenti”

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La Serva

Argot Produzioni

con il sostegno della
Regione Lazio
Assessorato alla Cultura Spettacolo e Sport

LA SERVA

di Gianni Clementi
con Crescenza Guarnieri
musiche Stefano Saletti
regia Maurizio Panici

Note di regia

“La Serva” è una storia di ultimi … ultimi nel “Primero Mundo” con l’assoluta necessità di amare … disposti a tutto pur di avere un po’ di amore.
Osservare la Serva è spiare un mondo sempre più a noi vicino, eppure così ostinatamente tenuto lontano. Estrella canta, ama, si dà con la semplicità e il candore di chi non ha difese, con l’incoscienza di un ragazzo. Estrella vive e attraversa con leggerezza e sofferenza le difficoltà di un mondo parallelo che scorre nell’estenuante fatica del vivere quotidiano. Una “via crucis” alla ricerca dell’amore assoluto, mai consumato…
Questo testo ci offre la possibilità di lasciarsi andare alle emozioni, ci rimanda a profumi che anche se lontani sono a noi conosciuti, ci apre a orizzonti emotivi, a squarci del cuore, a ferite dolorose, a nostalgie … a saudade. Ma La Serva è anche lo sguardo dal basso di chi vive in una società dell’opulenza travolta dall’eccessiva ricerca di un benessere edonistico fine a sé stesso.
E’ infine il racconto di un’assenza, di una mancanza, di un vuoto che non potrà più essere riempito.

Maurizio Panici

La Maria Zanella

MARIA PAIATO – Premio UBU 2005

LA MARIA ZANELLA

di Sergio Pierattini

Costumi Sandra Cardini

Luci Sara Pascale

Regia MAURIZIO PANICI

zanella_01Una casa che reca ancora sulla facciata i segni, la riga nera, dell’alluvione, quella accaduta in Polesine nel 1951. Il testo racconta le paure, le angosce e le malinconie vissute da Maria Zanella, costretta dalla sorella a vendere quella casa, rovinata dall’alluvione, dove è nata e cresciuta e che è intrisa dei suoi ricordi. Maria riuscirà a dare un’originale risposta alle sue paure, quelle che l’assalgono di notte, e che sono quelle di tutti coloro che conoscono l’inesorabile dolore del distacco da ogni luogo affettivo.

“Mi capitava da bambino di svegliarmi di notte e pensare … ‘Oddio … e se oggi dovesse morire mio padre … mio fratello … o addirittura il gatto?’ Si soffriva come cani. Poi uno si abitua anche perché con gli anni ti accorgevi che le infauste profezie purtroppo erano più che mai veritiere. Una delle mie più angoscianti paure notturne riguardava e riguarda tutt’oggi la perdita della casa dove sono cresciuto, fenomeno che inesorabilmente dovrà prima o poi accadere, visto che paghiamo l’affitto e che le mie risorse economiche sono piuttosto scarse per pensare di acquistarla”

Sergio Pierattini

Con l’incoscienza della giovinezza, solo con quella, ho voltato le spalle al lavoro sicuro di ragioniera, ho lasciato il mio paese, la mia casa e la mia famiglia e sono partita per la Capitale. Il giorno dell’esame di ammissione all’Accademia Nazionale d’Arte drammatica Silvio D’Amico sentivo fuori, nell’atrio dell’Accademia, tutto un gran parlare di un tale Aldo Trionfo, di quanto era importante, dei suoi spettacoli bellissimi … istintivamente capii che era meglio tacere e ascoltare, perché questo mondo era veramente complicato e sconosciuto….
Quei tre anni d’Accademia sono stati fondamentali ho conosciuto, da vicino!!!, gli attori che avevo visto solo in televisione o al cinema del mio paese: Monica Vitti, Paolo Panelli, Gastone Moschin … e i registi degli spettacoli che avevo visto a Ferrara con l’abbonamento-giovani al Teatro Comunale.
La mia carriera di spettatrice cominciò con uno spettacolo di Ibsen “L’anitra selvatica” di “uno” che si chiamava Ronconi … piuttosto difficile, non capivo un granché, ma la professoressa mi spiegò che era per via dello “straniamento” … Poi, sempre “di questo qui”, ne vidi uno bellissimo “L’uccellino azzurro”. Stupendo, pieno di colori, maschere di ogni tipo, voci bellissime, una di una donna in particolare che faceva il gatto … chi l’avrebbe mai detto che sarei diventata l’allieva di questo regista pazzesco… e di Bolognini, quello dei film con Giannini e la Muti!
zanellaApprendere, stupirsi, studiare, adattarsi, provare, provare, pazienza, riprovare … le scene e riprovare anche nelle occasioni della vita.
I primi lavori da professionista sono stati con “La festa mobile”, la cooperativa teatrale che Pino Quartullo fondò con i suoi compagni d’accademia nel’83 e di cui ho fatto parte anch’io, quasi fin dall’inizio. Sono stati quattro anni di lavoro faticoso, intenso e esaltante, ma lì per lì non mi rendevo conto di quanto mi avrebbero fruttato poi …
Ho fatto da allora incontri importanti, alcuni meno, spettacoli belli e altri no … Tutto serve e talvolta sono quasi più orgogliosa delle esperienze difficili, di quelle che sul momento ho detestato … ripensandoci mi dà veramente l’idea di mattoni che uno accanto all’altro diventano una casa… magari un palazzo!
E ora che mi hanno chiesto di scrivere alcune righe biografiche (… la produzione lo vuole!) vorrei dire che ripensare a tutto quello che è stato fin qui mi procura una sensazione di tenerezza e di soddisfazione, …. e che mi piace tanto la mia origine provinciale e contadina che mi ha sempre dato ottimi spunti e suggerimenti, soprattutto per quest’ultimo personaggio la Maria Zanella, scritto da Sergio Pierattini (con cui ho condiviso – anche se in classi diverse – l’esperienza dell’Accademia), e diretto da Maurizio Panici, un regista con cui ho un’intesa profonda e proficua.
La Maria Zanella è una piccola donna polesana con problemi psichici che non la rendono pericolosa ma solo struggentemente ingenua, un’eterna bambina … La Maria Zanella è fatta dei modi di fare di mia madre, di mio padre … Quando ho studiato questo monologo mi sono resa conto di quante cose ho osservato e registrato da bambina guardando i miei parenti, ascoltando le donne che le sere d’estate parlavano di nascite e di lune, di ricordi di guerra, di aneddoti comici…
La Maria Zanella è tutto questo e anche l’opportunità di fare “il teatro” con la musicialità poco conosciuta del polesine, dei suoi argini che contengono il brontolio sommesso del Po, dell’orizzonte piatto delle campagne e del suo silenzio.

Maria Paiato

ESTRATTI STAMPA  

LA MARIA ZANELLA

Atto d’amore doloroso di una bravissima attrice 

La Maria Zanella … è un atto d’amore doloroso, come una partitura sulla memoria, sulla perdita di identità e sul desiderio di non essere abbandonati a sé stessi, questo flusso di parole cui la protagonista dovrà dare il senso di ricordi rimossi per distrazione, la consapevolezza di non sentirsi amati per quello che si è.

(Rodolfo Di Giammarco, La Repubblica, 17 maggio 2002)

Una giovane, l’alluvione e una casa in vendita

Maria Paiato è un’attrice capace di dare vera emozione. Mobile, vera, asciutta, senza un gesto o un tono retorico, restituisce la figura tenera e drammatica di una giovane donna della bassa padana, segnata nella sua salute mentale dalla alluvione del 1951.

(Paolo Petroni, Corriere della sera, 28 maggio 2002)

Bellissima prova di Maria Paiato “persa” nella follia

Dietro la storia di La Maria Zanella, storia di ordinaria follia di una donna segnata per sempre dall’alluvione del Polesine del 1951 descritta con struggente verità nel bel monologo di Sergio Pierattini interpretato dalla bravissima Maria Paiato, dietro la riga nera che il Po lasciò sulla casa di Maria, dietro la vita di una piccola donna colpita nel cuore e nella mente dalle acque nere e vorticose in cui cadde da bimba durante la fuga dalla piena, c’è un mondo che sta scomparendo, il mondo contadino con le sue cascine che diventano seconde case e radici che vengono negate e cancellate. […] E Maria Paiato con la sobria regia di Maurizio Panici offre una bellissima prova d’attrice disegnando con piccole sfumature di tono, con piccoli rabbiosi gesti, con espressioni fulminanti del viso, il mondo della sua protagonista dallo sguardo fisso e rassegnato, dalla mente a pezzi e dal cuore tradito e solo. Uno spettacolo da non perdere.

(Magda Poli, Corriere della sera, 4 dicembre 2005)

Emozionante incancellabile Maria

Parte da una singolare angolazione spiazzante Sergio Pierattini in La Maria Zanella per raccontare l’alluvione del Polesine del 1951. […] Questa Maria Zanella è diventata una persona viva grazie all’immedesimazione di una straordinaria Maria Paiato, seduta sua una sedia, il viso scavato con quegli occhi ansiosi che si guardano dentro e feriscono mentre le labbra ci parlano quando la sua cadenza padanale lascia il posto al silenzio, le gambe aperte, sottolineando il succedersi degli stati d’animo con minimi ritocchi dell’orientamento, trepidamente viva in un eloquio che cancella la precisione del calcolo, inarrestabile salvo le sospensioni affidate dalla regia di Maurizio Panici […] a effetti sonori e musicali nel nero rotto da una sola lampadina sospesa a mezz’altezza.
Un’ora incancellabile di profonda emozione.

(Franco Quadri, La Repubblica, 7 dicembre 2005)

Edipo

ArTè Stabile di Innovazione / Teatro dei Due Mari

PAOLA GASSMAN EDOARDO SIRAVO
con la partecipazione di Luciano Virgilio

EDIPO
da Sofocle a Seneca

drammaturgia Filippo Amoroso

regia Maurizio Panici
scena Michele Ciacciofera – costumi Marina Luxardo
musiche Stefano Saletti
con
Renato Campese, Maurizio Panici, Riccardo Zini
Anna Paola Vellaccio, Elvira Berarducci

locandina-edipoEdipo, un uomo che ricerca ostinatamente, fino all’ultimo, una verità. Una verità – per quanto dolorosa, intuita e sofferta – inseguita con quella feroce determinazione che lo conduce ad un gesto estremo che segna tutta la sua stirpe.

Il cammino doloroso di Edipo rispecchia il percorso che ogni uomo compie per conquistare la propria maturità, raggiungendo la consapevolezza del suo essere estremamente vulnerabile e soggetto alle onde del destino, che come un mare in tempesta gli si avventa contro.

Pur nella sua totale innocenza, Edipo non potrà evitare il compiersi del tragico destino dal quale tutti hanno cercato di allontanarlo. Ma è solo attraverso il suo tormentato viaggio che egli potrà conoscere la fatica del vivere e del diventare adulto, attraversare quella porta che consente ad ogni uomo l’ingresso nella socialità, appropriandosi dei segni che costituiscono il linguaggio.

Edipo è tutti noi, con le nostre paure, il nostro desiderio di sapere e la voglia di vivere, sempre in equilibrio precario tra la consapevolezza di sé e la disperata ricerca di un briciolo di felicità. Una felicità molte volte sacrilega e proprio per questo temuta.

In questo particolare allestimento scenico, Edipo è ricollocato al centro di una società che cerca di difenderlo dal suo stesso desiderio di conoscenza, in uno spazio sacrale destinato ad accogliere le profezie e le successive rivelazioni di Tiresia, che condurranno il protagonista a scegliere l’esilio e la cecità. Uno spazio dai segni forti, che costituiscono un labirinto, attraverso cui Edipo dovrà orientarsi per trovare finalmente la via della sua stessa esistenza.

Le musiche di Stefano Saletti imprimono al racconto un ritmo serrato che non lascia respirare lo spettatore, incalzando la ricerca del protagonista, come in un moderno giallo psicologico.

Rassegna stampa:

QUASI UN GIALLO ALLA HITCHOCK QUEST’EDIPO IN SCENA A TINDARI
(…) Panici resta fedele alla scrittura dei due drammaturghi, agghindando però i protagonisti con abiti contemporanei listati di nero (i costumi sono di Marina Luxardo) presaghi di lutti e di morte.
(…) lo spettacolo secondo Panici procede come una sciarada hitchcockiana, un giallo psicologico imbastito dallo stesso Edipo che poi s’accecherà, qui vestito da un carismatico e monumentale Edoardo Siravo, che ha accanto a sé una superba Paola Gassman negli abiti di una dolente Giocasta che poi si suiciderà e Creonte (un elegante e impeccabile Luciano Virgilio) e poi i rilevatori dell’enigma: il Tiresia di Renato Campese e il messaggero di Riccardo Zini.
Curiosi gli abiti del coro Anna Paola Vellaccio e del corifeo dello stesso Panici, quasi preti ortodossi con colbacco nero (…)

Giornale di Sicilia, Gigi Giacobbe , 28 maggio 2011

EDIPO, OVVERO METTERE IN SCENA IL DUBBIO

(…) Lo spettacolo è spettacolo della parola in tutta la sua plasticità, rotondità, pregnanza di significato, grazie a un cast di interpreti che sanno evidenziare i tanti risvolti, le numerose variabilità di carattere dei personaggi, al di là di ogni roboante retorica.

(…) Edoardo Siravo è un Edipo eccellente.
(…) Paola Gassman è una vera, grande “mater dolorosa”, tutta ripiegata nobilmente su se stessa, tutta chiusa in lunghi eloquenti silenzi. Intorno ai due protagonisti, il cerchio delle varie azioni drammatiche collaterali, o subordinate, passa attraverso altri autentici professionisti di valore come Luciano Virgilio. Seguono, meritevoli anch’essi di plauso, Anna Paola Vellaccio, Elvira Berarducci, Maurizio Panici e infine Riccardo Zini. Coerenti con le atmosfere della tragedia, le musiche di Stefano Saletti, la scena di Michele Ciacciofera e i costumi (a metà percorso fra antico e moderno) di Marina Luxardo. In breve: uno spettacolo da vedere.

Gazzetta del Sud, Elisabetta Reale, 28 maggio 2011

Processo a Gesù

ArTè Stabile di Innovazione / Fondazione Istituto Dramma Popolare di S. Miniato

Massimo Foschi
con la partecipazione di Angiola Baggi

PROCESSO A GESU’
di Diego Fabbri
regia Maurizio Panici
scene Daniele Spisa
costumi Lucia Mariani
luci Riccardo Tonelli / Roberto Rocca

con
Renato Campese, Dely De Maio, Crescenza Guarnieri, Massimiliano Franciosa, Maurizio Panici , Massimo Reale

e con
Alessia Innocenti, Tommaso Pagliarini, Rocco Piciulo, Daniele Pilli, Alice Spisa, Marco Vergani

locandina-processoLo spettacolo è stato coprodotto dalla Fondazione Ist. Dramma Popolare di S. Miniato nell’estate 2010 in occasione della LXIV Festa del Teatro

Dopo venti secoli, ancora oggi il “processo a Gesù” è monito e richiamo forte per la ricerca della “verità”, una ricerca profonda che superi quella di una facile verità, inseguita da una moltitudine indistinta di individui assetati di giustizia sommaria , mossi da una piazza che oggi come allora antepone gli egoismi personali e i vantaggi di qualsiasi natura (economica,privilegio, regalia etc.) alla solidarietà. Questo testo parla a quanti ancora dopo secoli , compiono un cammino di sofferenza fino al limite della sopravvivenza, non ascoltati, non visti, invisibili.
In una società che riconosce solo i vincenti e il successo, ancora una volta Fabbri ci pone una domanda ineludibile: chi può chiamarsi fuori ?- chi può ancora assistere inerte alla deriva profonda che stiamo attraversando in questi anni – chi può chiudere gli occhi di fronte alla assoluta mancanza di valori della nostra epoca ?- chi è complice di una visione “materialistica e criminale” della società civile. Oggi ancora una volta risuona alto l’urlo contro l’indifferenza, contro il voltarsi dall’altra parte – pur di non vedere, pur di non essere coinvolti.

“Siamo tutti Pilato?”

Ancora una volta queste domande risuoneranno alte nello spazio (il teatro) che da sempre vede la comunità degli uomini specchiarsi , interrogarsi, partecipare al percorso doloroso dei protagonisti . Processo a Gesù mette in moto quel viaggio misterioso e profondo che solo il teatro rende visibile attraverso l’esperienza che si fa carne , attraverso la parola che accompagna lo spettatore e i protagonisti in un labirinto di passioni, ragioni e sentimenti.

Teatro nel teatro, esempio alto di rappresentazione, questo testo di Diego Fabbri è uno dei più coinvolgenti della sua produzione drammatica.

Lo spazio scenico scelto per la rappresentazione è un’agorà dove ancora una volta si incontrano e si scontrano le ragioni dei protagonisti del “processo” e quelle degli spettatori chiamati ad assistere in maniera partecipata all’epifania della serata e alla sua naturale conclusione.

Trovo in questo testo, la stessa inquietudine di alcune opere di Pirandello, quelle indagini profonde dell’animo umano che mostrano fin nel profondo le debolezze, le pulsioni più ancestrali degli individui osservati, mi muove la stessa tensione che mosse le avanguardie teatrali degli anni ’70 a rompere gli usurati schemi della “rappresentazione” alla ricerca di una “verità scenica” che riconsegnasse al teatro la sua funzione più nobile.

Questo è un testo che ha bisogno di attori che sconfinino con naturalezza dalla condizione di testimoni/personaggi a quella di una “umanità assente”, attori che abbiano la capacità di farci sentire tutti dentro questa “immensa piazza” che è il mondo.

Lo spettacolo ha bisogno di un cast numeroso e motivato che raccolga la sfida di un teatro necessario e contribuisca attraverso un uso sapiente della parola a coinvolgere lo spettatore che viene chiamato ad essere non più semplice osservatore ma complice e testimone di un evento che ancora oggi scuota con forza le coscienze degli individui. Le musiche sottolineano e aiutano a tenere alta la tensione, fortemente presente per tutta la durata della rappresentazione.

Maurizio Panici

Delitto e castigo

ArTè Stabile di Innovazione

DELITTO & CASTIGO
di Fëdor Dostoevskij

traduzione Gaelle Tomassini

con
Alfredo Angelici, Massimiliano Benvenuto, Claudia Crisafio,
Massimiliano Mecca, Marta Nuti

musiche Gianluca Attanasio
costumi Roberta Orlando

regia Francesco Giuffrè

Delitto&Castigo è uno dei romanzi più influenti della letteratura russa, e non solo, di tutti i tempi.
Dopo “Profumo” “Cuore di cane” e “Othellow”, con “Delitto&Castigo” continua il percorso registico di Francesco Giuffrè con un altra storia che scandaglia l’animo umano fino alla sua più estrema profondità, nelle pieghe più segrete e intime. Raskolnikov, il protagonista del romanzo, è un uomo “nudo” e vulnerabile,  che vuole lottare contro quello che pare il suo fallimentare destino, credendosi un uomo forte, superiore, un uomo che può arrogarsi quel diritto non scritto per poter cambiare la sua vita e il percorso inevitabile della sua sorte. Raskolnikov pensa di poter trascendere il limite morale comune uccidendo una vecchia usuraia, rubandole i soldi, ed usandoli per aiutare se stesso e gli altri. E’ dunque la storia di un fallimento, del castigo che segue al delitto, senso di colpa che non potrà essere superato. Alla fine Raskolnikov comprende di essere soltanto uno dei tanti uomini che passeranno su questo mondo senza poter lasciare traccia.

Rassegna stampa: