Marlene

ASSOCIAZIONE TEATRALE PISTOIESE  –   ARGOT PRODUZIONI

PAMELA VILLORESI   –    DAVID SEBASTI

MARLENE

novità assoluta di Giuseppe Manfridi

con Silvia Budri Cristina Sebastianelli

 Con la partecipazione di ORSO MARIA GUERRINI

Scene  Andrea Taddei
Costumi Lucia Mariani
Musiche originali di Luciano Vavolo
Regia Maurizio Panici

Canzoni di F. Hollander, N.Schultze, P.Siger, L.Brown, B.Bacharach

Note dell’ autore

villoresi02”Marlene”, come Marlene Dietrich, e la Dietrich è la protagonista di questa commedia che, penetrando nel “dietro le quinte” della sua vita, scandisce in tre capitoli le vicende di un’avventura umana sensazionale.

Il primo capitolo è ambientato a Londra, nel 1954. Hollywood sembra aver voltato le spalle all’attrice, e il teatro si propone alla Dietrich come un’ importante occasione di riscatto artistico. Siamo in un’elegante suite d’ albergo. E´ la mattina del giorno in cui Marlene, cinquantenne, dovrà debuttare con un fastoso recital al `Cafè de Paris´, sala da duemila posti che si annuncia esaurita. Lo spirito dell’atto è brillante, di estrema leggerezza, e sfocia nel confronto tra la diva e il suo grande pigmalione, Joseph Von Sternberg (regista de “L’Angelo azzurro”), insieme al quale la donna rivivrà l’incredibile provino in cui lui la scelse per la parte di Lola.

Il secondo capitolo ci porta a un pomeriggio di sei anni dopo, nel 1960. L’azione è ambientata nel camerino di un teatro di Berlino, città dove Marlene è tornata dopo molti anni di assenza. Anche stavolta siamo a poche ore da un concerto. Coprotagonista dell’atto è il musicista Burt Bacharach, a quell’ epoca trentenne, di grande avvenenza, ancora semisconosciuto, ma dal talento assai percepibile.
Marlene deve a lui gran parte delle orchestrazioni per i suoi concerti. E’ evidente che fra i due vibra una potente corrente eroticoguerrinia.

Il terzo capitolo ci fa fare un balzo nel tempo ancora più brusco. Siamo nel 1975. A Toronto. Di nuovo in una suite d’hotel ma tradotta in
camerino. Marlene, infatti, sempre più incline all’alcool e afflitta da varie sofferenze fisiche, è da un paio d’anni costretta a esibirsi negli stessi alberghi in cui alloggia. E’ sera, e il “Chi è di scena” annuncia che manca mezz’ora all’aprirsi del sipario.
Questa terza parte corrisponde a un faccia a faccia impietoso, ma anche ironico e divertente, con la figlia Kater, creatura costretta a una vita defilata e sempre rimessa al servizio di una madre tanto ingombrante.
A chiudere il capitolo e la commedia sarà un colpo di scena decisivo che chiamerà nuovamente in causa Sternberg, il Mefistofele a cui Marlene si è offerta per tutta la vita come a un seducente e pericoloso Faust.

Lo spettacolo prevede un’ importante presenza musicale, con l’esecuzione di alcuni brani resi celebri dalla Dietrich: su tutti, “Lilì Marlene”.

Giuseppe Manfridi

 

NOTE DI REGIA

dsebastiNel nome della protagonista – Maria Magdalena – è già segnato il percorso umano e artistico che per decenni e fino ai nostri giorni, ha sollecitato l’immaginario collettivo, consegnando al mondo l’icona di una bellezza prima ferocemente costruita e poi tenacemente mantenuta fino all’inevitabile declino.

Di questa discesa il testo di Manfridi è testimonianza.
Marlene è una “via crucis” dolorosa, che parallelamente all’alimentarsi del mito fa sprofondare la protagonista nelle pieghe più “umanamente degradate” : i rapporti con gli uomini, gli innumerevoli amanti , un marito che rimane sempre sullo sfondo, una figlia che si occupa di lei fino alla fine ma con cui ha un legame difficile.

Sullo sfondo si muove la Storia che cambierà l’ordine naturale delle cose: Marlene l’attraversa cercando comunque di proteggere il suo mito, essendo la prima icona moderna consegnata alla nostra inesauribile e insaziabile voglia di eterna bellezza attraverso le luci e le ombre create dal suo “mefistofelico” amante e mentore Joseph Von Sternberg.

Marlene come una riflessione sulla necessità di creare “miti” ma anche, soprattutto, la storia di una donna fragile/indistruttibile, sezionata nei suoi affetti, nei suoi rapporti, che impietosamente si mostra nella sua terribile alterità fino alla consegna finale attraverso uno struggente e infinito piano sequenza diretto dal suo maestro di sempre.

Un testo, questo di Manfridi, nella grande tradizione nordica che comincia con August Strindberg e arriva fino a Ingmar Bergman.

Le canzoni saranno il filo rosso di questo spettacolo, per ricomporre pienamente il quadro di un’epoca fortemente dolorosa, segnata dalla guerra da cui disperatamente si cercava una via di uscita.

La scena è uno spazio mentale della memoria dove la protagonista ritrova le figure più importanti della sua vita in una “danza di morte” di strindberghiana memoria.

Maurizio Panici

Rassegna Stampa:

Oltre il mistero dell’Angelo Azzurro 

Pamela Villoresi è attrice sul serio, una di quelle che conosce il mestiere e, pur facendolo da tanti anni, lo alimenta senza sosta, ne accresce le prerogative, gli offre vie nuove. Non stupisce di trovarla nei panni della Dietrich sul palcoscenico del Quirino di Roma, protagonista della “novità” di Giuseppe Manfridi Marlene, che ritrae la diva tedesca nell’ultimo periodo della sua avventurosa esistenza. Il drammaturgo, coglie il tramonto, segnato di luci e d’ombre, di un mito del Novecento. Che per lo più non si agguanta. Ma basta ritenerlo almeno accostabile per gustare lo spettacolo con la regia di Maurizio Panici.
Prima tranche, 1954: Marlene, ostracizzata da Hollywood, si allontana dal cinema per abbracciare il teatro. Il debutto al Cafè de Paris, duemila posti tutti venduti, la galvanizza. A 50 anni è ancora bella, fascinosa, ambigua, voce inimitabile, corpo perfetto, grande professionalità. Restituirci tutto questo con evidenza carnale è il cimento della Villoresi. Abbiamo detto che la leggenda di Lola Lola, il suo mistero, sono quantomeno ostici. Eppure….
Secondo capitolo. Marlene, vicina ai sessanta, è a Berlino, sempre in teatro. Un giovane musicista, Burt Bacharach (David Sebasti), metà degli anni della diva, bello, bravo e ancora senza fama, firma l’orchestrazione di tutti i motivi che lei interpreta. E ne subisce il carisma, artistico ed erotico. A Toronto, nel 1975, l’epilogo. La Dietrich, ormai dedita al bere e piegata dagli acciacchi, dà spettacolo prevalentemente negli alberghi in cui alloggia. La circondano i ricordi, i fantasmi del passato e la figlia, qui Kater, nella realtà Maria Riva, la donna che prenderà rilievo solo dopo la pubblicazione, postuma, di un’impietosa e forse ingiusta biografia della madre. Anatomia di una leggenda. Maurizio Panici la compie in modo analogico, usando specchi e personaggi: la cameriera Tami (Cristina Sebastianelli), lo Sternberg di Orso Maria Guerrini, la Kater di Silvia Budri.

Il Messaggero – Rita Sala. –  9 maggio 2009

 

Al Quirino la “Marlene” di Pamela Villoresi

L’attore è sempre un bel soggetto per un drammaturgo: è un personaggio bell’e pronto, si può dire, con quel suo istrionismo naturale, di persona. E come attrice Marlene Dietrich resta unica nel divismo internazionale per le sfaccettature di una personalità esplosiva (lodiamo la tv che ce ne conserva memoria). Tanto da avere indotto Giuseppe Manfridi a fare di lei un ritratto teatrale in “Marlene”, in scena al Quirino, con Pamela Villoresi protagonista aderentissima al profilo crudo tracciato dall’autore. Dice Manfridi di aver voluto estrarre “l’avventura umana sensazionale”. Non direttamente la “femme fatale” della scandalosa Lola Lola de “L’angelo azzurro” o l’ammaliatrice de “L’imperatrice Caterina” ma soprattutto i decenni ’60 – ’70 di eclissi dell’attrice, allorché all’Europa e all’America si ripropose cantante in luccicanti concerti e via via in esibizioni dove ormai era la triste ombra di se stessa, alla deriva. E’ qui nel ripiegamento che il personaggio evoca il passato, il legame torbido col regista Von Sternberg, e conflittuale con l’arrangiatore Bacharach, fra quelli che hanno veramente contato nel cammino di Marlene, artista e donna. Emergono scabrosità libertine, e la disperazione anche nel confronto con la figlia.
E risuonano le canzoni che Marlene rese famose e che la Villoresi intona arieggiando l’originale. Regia calibrata di Maurizio Panici.

Avvenire – Toni Calotta – 10 maggio 2009

 

La “via crucis” della fatale Marlene 

Si conferma una volta di più l’eclettica disinvoltura con cui Pamela Villoresi affronta i personaggi più disparati. In questo caso, si tratta di Marlene Dietrich, l’icona della sensualità, la musa ispiratrice, la diva “maledetta”, l’angelo azzurro per eccellenza, che esprime una femminilità tanto erotica quanto inafferrabile.
“Marlene” si intitola il testo di Giuseppe Manfridi, in scena fino a domenica al Quirino con la regia di Maurizio Panici. La testimonianza drammaturgica di  una “via crucis” esistenziale, quella della protagonista, che lo spettacolo accompagna dagli anni ruggenti del suo fulgore fino alla vecchiaia. Un percorso impervio che, nel testo di Manfridi, mira a scarnificare la personalità contorta e controversa dell’attrice, restituendone non tanto la biografia pubblica, quanto piuttosto l’intimità privata, più segreta e riservata.
Ne scaturisce un ritratto inquietante, segnato da un destino che, sia pure nell’apparenza dorata del mito cinematografico, ha qualcosa di sinistro, di nefasto.
La troviamo nel primo atto una donna rigogliosa, all’apice del successo, circondata da una corte di amanti, con un marito confinato sullo sfondo e una figlia, che resterà con lei fino gli ultimi giorni (Marlene è morta a 90 anni nel 1922),ma con cui avrà sempre un rapporto conflittuale. La ritroviamo radicalmente trasformata nel secondo atto, cupa e grifagna, una donna sola, ormai ridotta alla resa dei conti con la propria conoscenza.
Un’icona, una star, un mito, ma in realtà una donna fragile e ostinata, che compie fino in fondo la parabola della sua esistenza,senza potersi risparmiare il dolore e la condanna all’infelicità.
Un personaggio che la Villoresi incarna con impietosa sincerità, ma soprattutto con passione e coinvolgente sensibilità, nel contesto della regia vigili di Panici. Accanto alla protagonista, Orso Maria Guerrini.

Corriere della Sera –  Emilia  Costantini. – 15 maggio 2009

 

La memoria di una vita 

(…) in primo piano sono i capricci da diva ed il narcisismo, le sue fragilità e frustrazioni, i momenti di solitudine ma anche i lampi di cinica ironia, la complicata ed insoddisfacente vita amorosa e familiare. Ed anche i ricordi ed i dialoghi con Sternberg e Bacharach, che pur se morti o lontani, si materializzano nella sua vivida immaginazione. Così viene rievocato e rivissuto il provino che, molti anni prima, la portò ad essere scelta da Sternberg per interpretare il personaggio di Lola; e che lo stesso regista narra, come in una sequenza cinematografica, il penoso dietro le quinte di una Dietrich malata ed in sedia a rotelle, che precede la sfolgorante entrate in scena con cui termina la rappresentazione. I grande impatto le esecuzioni delle canzoni che l’hanno resa celebre, interpretate da Pamela Villoresi enfatizzando il contrasto tra smaglianti trionfi ottenuti in passato e l’incerta e declinante situazione attuale.
I colori delle scene e dei costumi contribuiscono a sottolineare gli stati d’animo della diva: nelle stanze d’albergo e nei camerini predomina il nero, illuminato dai bagliori delle lampadine che contornano gli specchi davanti a cui si sistema il trucco.
Gli abiti giocano con i contrasti dell’oro, come lo sfarzoso abito con cui esce in scena alla fine, ma soprattutto gli opposti colori del bianco e del nero, allusioni alla neve con cui Marlene si immedesima, che, come nel finale di un racconto narratole molti anni prima da Sternberg, ricopre tutto, i vivi e i morti.

Claudia Volpato – Non solo cinema – 25 novembre 2008.

 

Pamela splendida Marlene 

(…) La Dietrich è colta in situazioni intime – camere d’albergo o camerini –  subito prima dei suoi show. Ripassa le sue più celebri canzoni, prova i suoi costumi (ottimo il lavoro di Lucia Mariani) e si confronta con i suoi storici compagni di strada: dal regista Josef  Von Sternberg  (Orso Maria Guerrini) a Burt Bacharach (convincente l’interpretazione di David Sebasti), dalla figlia kater (Silvia Budri) fino alla sua amante donna, Tami (Cristina Sebastianelli). Il tema è affascinante e ben svolto. 

  1. Vitali Rosati – Corrieri Fiorentino –  11 novembre 2008

 

Marlene Dietrich sul palco del Toniolo di Mestre 

(…) a collegare la dedica teatrale con il mondo cinematografico di cui Marlene fu ed è tuttora gloriosa icona, Josef von Stendberg (Orso Maria Guerrini). Degno di nota il finale da lui diretto: una Marlene in sedia a rotelle nelle mani della figlia viene guidata dalla voce del regista che si fa macchina da presa, in una descrizione cinematografica dove l’ausilio di incisive luci e ombre crea un’immagine  esteticamente scultorea.

Elena Ballarin – Non solo cinema –  25 novembre 2008 

 

Marlene – Il viale del tramonto di una grande attrice 

(…) della vita di Marlene Dietrich e delle sue coraggiose scelte di vita viene presentata non la sfolgorante carriera in cui ha dato il meglio di sé, ma solo la fase finale, il viale del tramonto appunto, in cui la prorompente forza vitale diventa nostalgia e il patetico giovanilismo dell’impietosa vecchiaia.
Merito della Villoresi – Marlene è l’aver reso con assoluta efficacia come queste grandi attrici, tutte prese dalla loro carriera artistica, lasciano sullo sfondo quella realtà della vita a cui la comparsa delle prime rughe inesorabilmente richiama.

Ferdiando Offelli –  Thienenet – 24 dicembre 2008