Il Custode dell’acqua

IL CUSTODE DELL’ACQUA

di Sergio Pierattini e Marzia G. Lea Pacella

dal romanzo di Franco Scaglia SuperCampiello 2002 Edizioni PIEMME

Maurizio Donadoni , Renato Campese

con la partecipazione di Carlo Simoni

Scene Daniele Spisa – Fondali digitali Carlo Fiorini e Samuele Polistina

Costumi Massimo Poli – Musiche Germano Mazzocchetti

Regia MAURIZIO PANICI

custode_1Gerusalemme. Matteo, notissimo archeologo francescano, scopritore dei mosaici del Monte Nebo, viene incaricato dal custode di Terra Santa, convinto fautore dell’idea di trasformare Gerusalemme in una città di pace, di vigilare sulla riuscita del progetto. In breve tempo Matteo si trova coinvolto in una complessa vicenda che vede protagonisti i servizi segreti, un ricchissimo uomo d’affari e un gruppo di giovani idealisti che si battono per riportare la pace in quella terra lacerata dai conflitti. La morte misteriosa di Padre Luca, anche lui archeologo, rivela a Matteo che sono in gioco ben altri interessi. Lungo un cammino disseminato di morti, l’indagine di Matteo lo porterà prima a Umm-er Rasas, l’antichissima città sepolta nel deserto per scoprire una verità che forse potrà modificare il destino degli uomini.
“Il custode dell’acqua”, il romanzo vincitore del Supercampiello 2002 può avere un’affascinante vita teatrale. Mettere in scena una realtà complessa, unica, magica, religiosa, come quella di Gerusalemme offre originalità, amore, contenuti. I significati morali accompagnano un personaggio memorabile, Padre Matteo. Padre Matteo ha tutte le possibilità per divenire un eroe teatrale, di quelli che si ricordano. La sua bontà, la sua comprensione dei fatti umani, il suo equilibrio nei rapporti con i Cugini del muro (gli Ebrei) e con gli Amici della Rocca (i Musulmani) lo rendono vicino al pubblico, amico del pubblico, e interprete ideale della volontà di pace in Terra Santa.

Franco Scaglia

Lo spettacolo ha debuttato alla “LIX Festa del Teatro di San Miniato” nel luglio 2005 a cura della Fondazione Istituto del Dramma Popolare.

La figura di padre Matteo è ispirata a quella di Michele Piccirillo, notissimo archeologo francescano attivo in Palestina , le cui ricerche hanno dato nuovi illuminanti elementi alla storia di quel territorio.

Lo spettacolo viene ripreso nella stagione invernale a Roma, al Teatro India dal 2 al 7 maggio 2006.

APPUNTI DI REGIA

Lo spirito, il bisogno di sacro, la predestinazione di un uomo di fede, il compito, la missione di un costruttore di pace, i dubbi, la realtà che si Custode_10rifrange continuamente, presentandoci frammenti di una verità sempre sfuggente. Il Custode dell’acqua è tutto questo e non solo.
Mettere in scena questa complessità a partire da un romanzo è teatralmente compito arduo e richiede una forte adesione emotiva al testo, scelte e segni in grado di suscitare domande, costruire percorsi, che chiariscano il pensiero dei protagonisti di questo grande affresco su Gerusalemme. Per avvicinarci a quell’atmosfera unica e magica, cercando di restituirne i profumi, i vicoli, le piazze, i luoghi sacri a una grande moltitudine di genti diverse, abbiamo realizzato una scena costituita da un’enorme ruota che trascina con sé tre grandi porte, che rappresentano le tre grandi civiltà di riferimento. Tre segni forti e riconoscibili per ebrei, cattolici e musulmani.
Al centro “il mistero”, il pozzo, la discesa verticale con in fondo l’elemento necessario alla vita “l’acqua”, che poi è l’elemento centrale sia del romanzo di Franco Scaglia sia dell’adattamento teatrale di Sergio Pierattini e di Marzia G. Lea Pacella.
foto_1Il centro rappresenta anche “il punto fermo del mondo che ruota”, secondo la definizione che T. S. Eliot dà nei Quattro quartetti, ma il centro di questo spettacolo è soprattutto l’uomo, l’essere umano, con le sue responsabilità. Padre Matteo è il protagonista, al quale viene assegnata la delicata missione di riportare la pace a Gerusalemme, città da sempre dilaniata e divisa.
La scena di Daniele Spisa è mutevole e cangiante, e grazie al contributo visivo dei fondali digitali di Carlo Fiorini e Samuele Polistina, ci regala di volta in volta immagini reali e concrete delle strade e dei vicoli, in cui si svolge la nostra storia.
La scena è mutevole così come mutevole è la realtà, ci presenta diversi punti di vista, ci permette di leggere lo stesso frammento nelle sue più diverse sfaccettature. Il compito di Matteo, che oltre a essere un frate francescano è anche un noto archeologo, è di portare alla luce la verità, di ricomporre i frammenti, ricostruendo come con le tessere di un mosaico l’enigma che gli è stato presentato. C’è in questo spettacolo un forte parallelismo fra l’archeologia, con la sua necessità di ricostruire una realtà andata perduta, e il bisogno dell’uomo di fede di superare tutti i dubbi e compiere così fino in fondo il suo percorso.
custode
Le musiche e le suggestioni sonore, dello spettacolo composte da Germano Mazzocchetti sono necessarie alla comprensione di quella parte del testo più misteriosa, restituendoci atmosfere arcaiche cariche di significanti che vanno oltre il significato stesso delle parole.
“Il custode dell’acqua” è la storia di tutti quegli uomini che concorrono a un processo di pace e di integrazione tra culture diverse cercando di rendere migliore e più vivibile un mondo diviso, impoverito, e che ha un grande tema nel futuro, quello dell’acqua, così necessaria a milioni di uomini per sopravvivere.

MAURIZIO PANICI

Rassegna Stampa:

IL CUSTODE DELL’ACQUA

In Terra Santa tra spie, scienziati e francescani

“Chi l’avrebbe detto che alla Festa del Teatro a San Miniato, LIX edizione, roccaforte del teatro spirituale, avremmo visto e udito scenari di Terra Santa popolata da servizi segreti israeliani, militanti palestinesi, francescani strateghi o scienziati, e ambigui finanzieri, e giovani pacifisti? E’ quello che è successo con “Il custode dell’acqua”, tratto da un documentato, profetico e avventuroso romanzo omonimo di Franco Scaglia, che più che al genere della spy story appartiene alla dimensione d’una letteratura affine al “Nome della rosa”, con intrecci, indizi e colpi di scena alla Le carré e alla Simenon, e con l’intuito di concentrare su Gerusalemme e sulla figura reale del ruvido Padre Michele (ribattezzato Padre Matteo). Un puzzle a base di misteri riguardanti tre religioni coinvolte in un inestricabile, attualissimo gioco delle parti. Insomma a San Miniato […] si può far largo e può avere senso (in assenza di una drammaturgia d’autore che ripensi la problematica mistica) un conflitto mondano di fedi, un dedurre ad esempio che in Medio Oriente al XX secolo del petrolio potrebbe succedere un XXI secolo dell’acqua. Con la scomodità della consapevolezza che nessuno dei portavoce delle varie estrazioni religiose ha tutta la ragione dalla sua, esprime una verità assoluta, rivela ogni cosa che sa. Ed è così sfuggente il panorama frammentario (ri)costruito con mille sfumature sulla pagina da Scaglia, un materiale per l’occasione adattato alla scena da Sergio Pierattini e Marzia G. Lea Pacella, che giusta risulta la chiave degli alterni paesaggi concepita dal regista Maurizio Panici, un continuo sovrapporsi e contrapporsi di sfaccettati fondali digitali mostranti di volta in volta porte, strade e interni delle varie comunità o nicchie idealistiche.

(Rodolfo Di Giammarco, La Repubblica, 5 settembre 2005)

Bravo Donadoni, il frate-spia pensato da Scaglia

[…] Il custode dell’acqua è un’opera di ampie dimensioni che non sempre il teatro riesce a decodificare con la necessaria scaltrezza, indispensabile in operazioni del genere. E qui veniamo al nodo quasi indissolubile su cui riposa il limite, come la grandezza, del palcoscenico che non si propone, come fa il cinema, di illustrare la situazione narrativa collocando l’uomo nel contesto del paesaggio, o dello sfondo che gli compete. Per questo nello spettacolo guidato con mano maestra da Maurizio Panici che illumina da cima a fondo il testo sorreggendolo nei continui andirivieni tra passato e presente grazie alla tecnica sofisticata delle proiezioni digitali e della luci di taglio, finisce qua e là per fare difetto proprio l’afflato mistico che pervade il testo e ne determina il fascino. Fatta salva l’ottima prova di un cast di rara intelligenza scenica dove, accanto al doloroso umanissimo Carlo Simoni, Maurizio Donadoni commuove e persuade con l’autorità dell’autentico protagonista.

(Enrico Groppali, Il Giornale, 7 agosto 2005)

Il thriller religioso in scena funziona

L’alchimia del teatro, talvolta compie miracoli. Prendi un testo ambientato nella Gerusalemme dei giorni nostri, tra bombe e attentati, mettici la storia di un frate francescano archeologo che resta invischiato in traffici loschi, qualche morte sospetta, una coppia mista arabo-israeliana che vuole convolare a nozze contro ogni convezione, soldati disertori per amore, e per finire libri, manoscritti, antiche pergamene che nascondono segreti immensi. Sulla carta, Il custode dell’acqua porta con sé tanta retorica quanto una bella fiaba per bambini. Eppure, mescolati tutti gli elementi drammaturgici, aggiunta la bella scenografia curata da Daniele Spisa – che fa dialogare la vera piazza del paese con una struttura agile semovente, pronta a diventare Porta Santa, biblioteca o convento – lo spettacolo non solo regge ma trova un suo ritmo avvincente e godibile. Cinquantanovesima produzione della Fondazione Istituto dramma popolare di San Miniato, Il custode dell’acqua ha visto la luce grazie all’adattamento che Sergio Pierattini e Marzia G. Lea Pacella hanno operato del romanzo di Franco Scaglia, Premio SuperCampiello 2002. […] spettacolo appetibile anche a quanti non abbiano grandi dimestichezza con gli “affari spirituali”: quella di addentrarsi nel thriller religioso, unendo un po’ di avventura e un pizzico di esoterismo. […]
Sulla scena troviamo un ottimo Maurizio Donadoni nelle vesti del protagonista, Padre Matteo. Tra gli altri, lo ‘sceicco’ di Sergio Basile non manca di tenergli testa. E la regia di Maurizio Panici segue il crescendo della tensione con diligenza e qualche bel guizzo. Colpo di scena finale, siglato da applausi convinti.

(Valentina Grazzini, l’Unità, 23 luglio 2005)

Lisistrata

Argot Produzioni – Teatro dei Due Mari
PAMELA VILLORESI

LISISTRATA

di Aristofane – Commedia con musiche

Versione di Michele Di Martino e Maurizio Panici

con la partecipazione di LUCIANA TURINA

Renato Campese
Gabriella Silvestri
Silvia Budri
Francesca Agate
Giorgio Barlotti
Camillo Grassi
Sandro Querci
Andrea Bacci

Scene e costumi Marina Luxardo musiche originali Stefano Saletti

Regia MAURIZIO PANICI

Foto_l2LISISTRATA è una grande e giocosa commedia, non priva di valenze e significati importanti, certamente una delle opere più vigorose ed ispirate di Aristofane. E’ il desiderio di pace il cardine attorno al quale è costruita l’azione drammatica: guidate da Lisistrata – nome che significa “colei che scioglie gli eserciti” – le donne di Atene sono irritate dall’assenza dei mariti impegnati in guerra e vogliono imporre la pace ad ogni costo; decidono allora di abbandonare i loro uomini, sottoponendoli ad una sorta di “sciopero” dell’amore. Anche le donne di Sparta e di tutta la Grecia aderiscono a questo progetto: alla fine tutti gli uomini sono costretti a cedere, mettendo così fine alla guerra,e il gioco,condotto con intelligenza ,da’ vita ad una rappresentazione solare e vivacissima.

Per questo allestimento, progetto e regia di Maurizio Panici,sono state scritte appositamente musiche originali, che ispirano le coreografie di uno spettacolo corale di grande vitalità, pensato in forma di commedia musicale, con particolare riferimento ai grandi allestimenti degli anni Settanta – “Hair” tra tutti – che portavano in scena le forti aspirazioni giovanili pacifiste che caratterizzarono quel periodo.

La prima versione dello spettacolo è stata allestita per il Festival dei Due Mari 2004 diretto da Pasquale Cocivera.

Rassegna Stampa:

Una superlativa Villoresi valorizza la Lisistrata

“Una bellissima edizione della Lisistrata di Aristofane: spumeggiante di spirito, agile nell’andamento, con tratti di comicità irresistibile. In più una sezione musicale originale, vivacissima e coinvolgente (creata con lode da Stefano Saletti) che travolge anche il pubblico a gridare Evoè, come gli antichi; un continuo dibattito sul tema che purtroppo è rimasto uguale da 25 secoli: l’inutile brutalità della guerra, la necessità di smettere con la serie montante delle rappresaglie e di giungere alla Pace. […] Maurizio Panici che firma la regia ha realizzato il raro equilibrio tra le ragioni testuali e quelle spettacolari: abbreviando dove necessario per rendere lineare lo svolgimento talora frastagliato della commedia attica; trasferendo le allusioni politiche ateniesi in quelle nostrane”

(La Sicilia, 24 giugno 2004, Sergio Sciacca)

Lisistrata, Pamela Villoresi frizzante femminista

“Lo spettacolo […] si avvale di una regia e di un cast di attori che sembrano giocare con gli equivoci, i doppi sensi, le allusioni, la mordacità e la licenziosità verbale, gestuale e vocale in un continuo instancabile crescendo di trovate e ritmi, dove tutto concerne il sesso si fa risata, tuttavia non lasciva, non gratuita, non banale. […] Maurizio Panici, estroso regista della trasposizione scenica, avvolge tutta la vicenda fra le pieghe di uno scatenato musical, veste i personaggi di jeans e minigonne, ricrea una immaginaria cornice dell’Italia anni ’70, disegna un affresco linguistico in cui risuonano i molteplici nostri dialetti; vivacizza di gorgoglianti movimenti di scena, di lampeggianti ammiccamenti e di strizzatine d’occhio tutto l’intreccio, restituisce alle donne lo straripante dominio del sesso, investe l’intera fabula di un disinibito erotismo e di corale allegria, immergendo il tutto, comunque nel pentagramma di una poesia che scintilla di sapienza e di saggezza, di acume e di arte totalizzante”.

(Gazzetta del Sud, 29 maggio 2004, Salvatore di Fazio)

Ed ecco la scoppiettante e infervorata Pamela Villoresi

” [… ] si ride e si diverte individuandovi molte analogie con la nostra realtà contemporanea […]. Ed ecco la scoppiettante e infervorata Pamela Villoresi nel ruolo del titolo […] che arriva sulla scena di corsa sventolando in mano la bandiera col noto simbolo ‘facciamo l’amore e non la guerra’ […]. I doppi sensi si sprecano, e le parti del coro con la Corifea Luciana Turina ancora in grande forma, sono cantati e suonati dal vivo da un’orchestrina capitanata da Stefano Saletti”.

(Giornale di Sicilia, 29 maggio 2004, Gigi Giacobbe)

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Tango

TANGO

Di Francesca Zanni

Con Crescenza Guarnirei e Rolando Ravello

Musiche Originali Daniele Silvestri

Un articolo su un quotidiano, che parlava dei “figli rubati” dei desaparecidos argentini, così è nato “TANGO”.

tango_sch1Francesca Zanni (autrice e regista) e Crescenza Guarnieri (attrice protagonista) decidono di mettere in scena questo spettacolo, non sapendo quasi da dove cominciare, ma con l’esigenza fortissima di dare voce a chi non poteva più parlare.

E’ stata una sfida: non eravamo sicure che avremmo avuto successo, ma eravamo sicure dell’idea e del progetto, volevamo fortemente che questa storia fosse divulgata, che tutti ne sapessero di più, anche noi, che giorno dopo giorno raccoglievamo sempre più informazioni su quel periodo buio, e scoprivamo, per esempio, l’esistenza di desaparecidos di nazionalità italiana.

Così, “TANGO” debutta al Teatro dell’Orologio di Roma nel marzo del 2000.

Rimane in scena soltanto dieci giorni, ma registra il tutto esaurito ogni sera, e viene ripreso, sempre nello stesso teatro, nel novembre del 2000, con un notevole successo di pubblico. Nel frattempo, ci mettiamo in contatto con l’associazione “Ponte della Memoria” e seguiamo il processo romano per le vittime di nazionalità italiana. Al termine di ogni replica informiamo il pubblico di quello che sta accadendo al processo e spesso ci si ferma a parlare, la gente vuole sapere, ci chiede informazioni, notizie.

Estela Carlotto (Presidentessa delle Abuelas de Plaza de Mayo) assiste allo spettacolo, insieme a Lita Boitano e ad altri familiari delle vittime. tango_sch2

Nasce così un rapporto di scambio e di amicizia tra la compagnia di “TANGO” e la comunità argentina presente a Roma. Il giorno della sentenza conclusiva, il 6 dicembre 2000, nell’aula dove viene celebrato il processo le facce sono le stesse che avevamo visto a teatro nei giorni precedenti, tantissimi i giovani, gli stessi che ci chiedevano “ma davvero è successo?” perché magari negli anni della dittatura argentina loro non erano neanche nati.

Il testo viene pubblicato su “Latinoamerica”, rivista bimestrale diretta da Gianni Minà, con una introduzione di Estela Carlotto, e lo spettacolo viene acquistato e prodotto dalla RAI per la messa in onda su  RAI 2 “PALCOSCENICO”.

Partecipa inoltre al congresso nazionale di Amnesty International, da cui è patrocinato.

Torna in scena al Teatro Due di Roma nel marzo del 2003 (interpreti: Crescenza Guarnieri e Rolando Ravello), e il giorno precedente al debutto, si conclude a Roma il Processo d’Appello alla sentenza del 6/12/2000, della Seconda Corte d’Assise di Roma, che conferma la condanna.

Nato come un piccolo spettacolo, è diventato qualcosa di più.

Tango non parla soltanto dei Desaparecidos, non parla soltanto di Argentina. Anzi, forse la storia, quella con la S maiuscola, si intravede appena.

Tango parla di una separazione, ma ancora di più parla di un ritrovamento.

Parla di una madre e di un figlio che si perdono. E poi si ritrovano, senza vedersi mai.

Per noi ,“TANGO” è stato la realizzazione di un sogno, la consapevolezza  che, quando si fa qualcosa con il cuore, di sicuro arriva al cuore.

Ci piacerebbe farlo arrivare al cuore di chi ancora non sa.

SECONDO QOÈLET

SECONDO QOÈLET

Dialogo tra gli uomini e Dio

di Luciano Violante
Impianto scenico e regia             Maurizio PANICI
Scenografia e fondali digitali       Carlo Fiorini e Samuele Polistena per Opere
Musiche e paesaggi sonori         Stefano Saletti  Voce Rayma
Salmi cantati                                   Miriam Meghnagi

Qoèlet                            Adriano Braidotti
Coro/Giuda                   Camillo Grassi
Coro/Khatu                   Andrea Bacci
Coro/Vento                   Gigi Palla
Nuth/Madri                    Giusi Giarraputo
Voce del Signore         Omero Antonutti

Le altre voci registrate sono di Eugenio Saletti (Hurbinek), Giusi Giarraputo (Sara) e Giulia Carnevali (una ragazza)

quoelet_01La stagione 2006-2007 dell’Argot Studio si apre con “Secondo Qoèlet – Dialogo fra gli uomini e Dio”, uno spettacolo importante e di grande impegno, basato sul testo scritto da Luciano Violante. Il progetto nato attorno al testo vede coinvolti vari artisti ed è il risultato di una profonda riflessione dettata da una necessità forte di recuperare non solo il senso di Rito del teatro, ma anche di suscitare un momento di discussione e di analisi sul tema  eterno e attuale dell’esistenza nel mondo del male.

Da uno dei libri più misteriosi della Bibbia, che secondo un’antica tradizione è stato scritto da Qoèlet, ovvero Salomone figlio di Davide, re di Gerusalemme, amante della regina di Saba, nasce il testo “Secondo Qoèlet” di Luciano Violante.

Il dialogo fra gli uomini e Dio immaginato da Violante riguarda le radici del male, le sue tragedie, le fatiche degli uomini e di Dio per separarsene, la necessità dell’alleanza per farlo arretrare e renderlo periferico se non per sconfiggerlo.

Il confronto che ne scaturisce – a tratti struggente, a tratti crudele – è una meditazione di forza e speranza sul mistero del male: perché forse sulla violenza, sulla guerra e sull’odio dei nostri giorni non ci siamo ancora sufficientemente interrogati, e questa è nostra responsabilità.

Gli uomini interrogano Dio sulle cause della violenza, Dio risponde … Poi anche Dio interroga, e gli uomini non possono tacere.

Forse non è tanto importante trovare un’unica risposta, sul perché Dio non è intervenuto o non interviene, forse è più importante la quoelet_02possibilità di continuare a formulare domande.

Secondo Qoèlet”, è una domanda brutale, profonda, eticamente impegnativa, è urlo e dolore di una umanità alla continua ricerca del senso della vita.

E’ domanda del perché il male, la violenza, la tortura appartengono ancora oggi all’essere umano e perché gli uomini proseguono con accanimento e violenza il loro progetto distruttivo.

Qoèlet è l’osservatore impietoso e implacabile del dialogo tra gli uomini e Dio.. Lo spazio è una terra di nessuno dove l’acqua è l’elemento dominante e il cielo è una distesa di filo spinato.

Sotto questo cielo, si muove una umanità dolente e dolorosa, in una “via crucis” dell’anima alla ricerca di una pace impossibile, ma fortemente voluta e cercata.

Liricità e crudele visione sono gli opposti di questo oratorio: all’interno di questi opposti una lama di luce segna un possibile passaggio verso la partecipazione dell’uomo al progetto di ricostruzione di una società più consapevole che non crei più reietti e rifiuti.

Il progetto dello spettacolo è frutto di varie collaborazioni: innanzitutto Carlo Fiorini e Sam Polistina di Opere (sigla che riunisce un gruppo di artisti più volte presenti in mostre come la Triennale di Milano, con cui Argot ha  già avuto modo di collaborare con esiti importanti, in particolare con “Il Custode dell’acqua”) che con l’ausilio di fondali digitali hanno  trasformato e modellato lo spazio scenico con immagini e suggestioni visive particolari.

Le musiche originali sono di Stefano Saletti, fondatore del gruppo Novalia, e attuale leader di Piccola Banda Ikona, i salmi cantati sono di Miriam Meghnagi, una delle voci più importanti del panorama musicale del Mediterraneo.

Accanto a Omero Antonutti – che interpreta la voce del Signore – un gruppo di giovani attori che ha aderito con passione e impegno al progetto, accettando la sfida di confrontarsi con parole importanti, taglienti, provocatorie e dolorose.

Un incontro suggerito dai temi dello spettacolo si terrà alla sala del Cenacolo di Montecitorio, vicolo Valdina 2, martedì 10 ottobre a partire dalla ore 18.

Sogno di una notte di mezza estate

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE

di William Shakespeare

Scene e costumi  Paki Meduri

Musiche originali   Stefano Saletti

Regia Maurizio PANICI

Sogno di una notte di mezza estate è lo spettacolo più conosciuto e visto del grande bardo inglese, William Shakespeare.

sogno_02La storia dei quattro giovani innamorati, la recita degli artigiani, e lo scontro fra Oberon e Titania hanno da sempre sollecitato e affascinato la fantasia di chi fa teatro.

Mettere in scena Sogno di una notte di mezza estate  significa coniugare il mondo reale con il fantastico: è teatro nel teatro (vedi la recita di Tisbe e Piramo), è rappresentazione del meraviglioso, in una sola parola è teatro allo stato puro.

Questo allestimento vuole restituire, attraverso le suggestioni sonore, la scenografia e i costumi, quel ‘meraviglioso’ che tutti noi cerchiamo,  nel teatro come nella vita, con dodici giovani attori/cantanti che cambiano continuamente e gioiosamente ruoli e personaggi.

L’ambientazione è avvicinata all’oggi: abbandonando infatti l’idea del bosco olografico si è ricercato un luogo a metà fra struttura circense e luna park, qualcosa per sua natura labirintico e insieme familiare soprattutto alle giovani generazioni. Un luogo a metà fra sogno e realtà, dove accanto al gioco e alla fantasia può emergere il lato oscuro di ogni uomo.

Un grande grido d’amore

PAMELA VILLORESI

PIETRO LONGHI

UN GRANDE GRIDO D’AMORE

di Josiane Balasko
traduzione e adattamento David Norisco

con Gabriella Silvestri e Stefano Antonucci

Scene e costumi Aldo Buti

Regia MAURIZIO PANICI

ungrandegrido01“Un grande grido d’amore” somiglia alle commedie dell’età dell’oro del teatro. C’è nel testo un’aria di libertà assoluta, una voglia matta di giocare e di mettersi in gioco, di buttarsi e di amarsi.
Quindici anni prima la coppia d’attori Gigì Ortega e Hugo Martial erano una ditta formidabile, una compagnia che riempiva i teatri e mieteva successi. Amanti ideali nella scena come nella vita i due hanno perso strada facendo le chiavi del successo fra addii, separazioni o regolamenti di conti: lei ha ammesso di lavorare per disintossicarsi dall’alcool, lui vivacchia in teatri di second’ordine. L’agente Silvestre, al debutto di “Un grande grido d’amore”, si trova davanti alla defezione improvvisa dell’attuale partner di Martial, l’attrice che doveva recitare con lui la commedia, così ha l’idea di riformare la mitica coppia di qualche anno prima: con un sotterfugio convince i due a recitare di nuovo insieme, immaginando che l’avvenimento assicurerà popolarità e pubblicità. La miscela che si viene a comporre alle prove è esplosiva, e anche il regista è disperato…
Teatro nel teatro della più bella specie la commedia crea ben presto suspance e comicità, incontri di pugilato ed abbracci memorabili, grazie ad un plot vivace ed intelligente.
Un successo straordinario della scena francese, commedia di assoluto divertimento ma anche di grande intelligenza.

Rassegna Stampa:

 

Villoresi e Longhi, che risate

Stampa 3Spaccato autentico ed esilarante di quello che può accedere nella fase preparatoria di un debutto scenico, la commedia “Un grande grido d’amore” di Josiane Balasko […] La versione italiana allestita al Teatro Manzoni da Maurizio Panici impegna una spumeggiante e grintosissima Pamela Villoresi, nei panni di una primadonna vogliosa di tornare alla sua professione dopo un periodo di sbandamento e di alcolismo, affiancata da un ottimo Pietro Longhi in grado di restituire i tipici atteggiamenti del primo attore in bilico fra narcisismo, frainteso orgoglio maschile e frustrazione. […] Le battute da recitare si mescolano alla violenta conversazione con cui gli amanti si rimbeccano davanti all’attonito regista, incarnato magistralmente da Stefano Antonucci, che non coglie mai il senso di quello che accade e tenta di moderare i toni per salvaguardare l’esito dello spettacolo. Vibrante e di rara eleganza, oltre che credibile nel ruolo dell’agente senza scrupoli tutta tesa alla finalità di arrivare al traguardo della prima rappresentazione con un congruo rientro d’immagine, risulta anche Gabriella Silvestri. […] E il pubblico non ha un attimo di tregua, passa da una risata all’altra, scoprendo gli altarini di un mondo poco conosciuto e affascinante come quello del teatro.

(Tiberia De Matteis, Il Tempo 4 dicembre 2005)

Amore-odio: le prove di una coppia d’attori

[…] La vicenda comincia a rivelarsi come un gioco di scatole cinesi e se lo spettatore si diverte, egualmente accade agli interpreti, a cominciare dalla coppia dei protagonisti impersonata da Pamela Villoresi e Pietro Longhi, che devono rappresentare due attori che si fanno i dispetti in scena […] una commedia classica, ben costruita, [che] finisce per coinvolgere specie chi ama il teatro e lo vede messo a nudo; seguendo l’ironia e bravura degli attori nel non essere bravi nel modo giusto, grazie anche alla regia di Maurizio Panici, che punta sul ritmo e la misura.

(Paolo Petroni, Corriere della sera 16 dicembre 2005)

Così l’attore ritrova il “tempo perduto”

[…] lo sguardo […] rivolto sia ai sentimenti sia al teatro […] permette a Panici di confezionare uno spettacolo nel complesso godibile, dove la Villoresi (Gigi) – brillante e ironica al punto da confermarsi attrice di raro eclettismo – assurge al rango di una primadonna senza la quale l’ingranaggio scricchiolerebbe. […] Gigi riempie la scena di una femminilità senza tempo […] alla sua morbida irruenza fa da contrasto la spigolosa boria di Hugo/Longhi: tipico “esemplare” di maschio risoluto ma infantile che poco a poco cede al ritrovato amore e – complici il paziente regista interpretato da Stefano Antonucci e la scaltra agente affidata a Gabriella Silvestri – fa pace in un colpo solo con il teatro e con il suo cuore. Siamo dunque alle prese con una riflessione sul “tempo perduto” e sulla forza delle passioni che intende fare anche luce su aspetti emblematici della professione teatrale, rispolverando la metafora della scena quale “specchio della realtà” e – soprattutto – rimarcando (se mai ce ne dimenticassimo) la natura estremamente vulnerabile degli attori.

(Laura Novelli, Il Giornale, 24 dicembre 2005)


Ira e tenerezza, i volti dell’amore salgono sul palcoscenico a Roma

[…] Ilarità, comicità, battute e dinamismo scenico, non senza qualche nota di nostalgia qua e là, rendono lo spettacolo leggero e piacevole fino alla fine, senza rallentamenti né cadute di ritmo.

(Agnese Ananasso, Milano Finanza, 28 dicembre 2005)

Sul lago dorato

L’Associazione Culturale LA PIRANDELLIANA presenta:

ARNOLDO FOA’         ERICA BLANC

in

“ SUL LAGO DORATO”

di Ernest Thompson

traduzione e adattamento di Nino Marino

con

LOREDANA GIORDANO nel ruolo di Chelsea

VALERIO SANTORO nel ruolo di Charlie

Scene e costumi Aldo Buti

Musiche Roberto Procaccini

Regia Maurizio PANICI

Lo spettacolo sarà disponibile da metà novembre 2006 a tutto Marzo 2007.

sul_lago_01SUL LAGO DORATO è una commedia di Ernest Thompson che narra di un professore in pensione che alla vigilia dei suoi ottant’anni ospita la figlia e il nipotino nella sua villa nel New England. Tra il vecchio e il bambino,dopo le schermaglie iniziali , e l’immancabile conflitto generazionale , nasce un grande affetto che continuerà ben oltre quell’estate.

La commedia divenne celebre perché fu portata  sullo schermo nel 1981 dal regista Mark Ridell (sceneggiatura dello stesso Ernest Thompson)  con l’interpretazione di due mostri sacri, Henry Fonda e Katherine Hepburn -che vinsero entrambi l’Oscar-, oltre che di Jane Fonda.

In Italia è stata proposta anni fa  nella traduzione e adattamento di Nino Marino, interpretata da Ernesto Calindri, che ha avuto al suo fianco prima Olga Villi, poi Liliana Feldmann. Oggi viene proposta una nuova emozionante versione con Arnoldo Foà ed Erica Blanc.

SUL LAGO DORATO è una commedia “sentimentale” che interessa  tre generazioni.sul_lago_02

La ricchezza dei dialoghi ,che proviene dalla  situazione  ( affettuosamente)conflittuale tra i personaggi, e il linguaggio del protagonista maschile , completamente spiazzato dal nuovo lessico adottato dal nipote, creano di continuo situazioni di divertito conflitto tra i diversi antagonisti.

Ma SUL LAGO DORATO è anche e soprattutto un affettuoso sguardo a mondi diversi che si ritrovano al di là delle convenzioni sociali e delle età, una commedia di sentimenti al quale tanto cinema si è ispirato e che ha fatto sognare tantissimi spettatori .

(note a cura di Nino Marino e Maurizio Panici)

Mi  è  piaciuta  l’idea  di  questo  testo,  ormai  un  classico,  perchè  io  ed  Erica Blanc  siamo  una  vecchia  coppia  che  vi  farà  ricordare  molte  tenere  cose…

sul_lago_03E  poi  perchè  con  eleganza  e  arguzia  SUL  LAGO  DORATO  tratta  un  tema  importante, quello  della  difficoltà  a  comunicare  tra  familiari,  nonostante  l’affetto:  padre  e  figlia non  riescono  a  parlarsi,  a  lasciarsi  andare,  perchè  in  fondo  sono  simili  e  “testoni”, come  li  definisce  la  madre.

Arnoldo Foà

 

 

 

 

 

Rassegna Stampa:

Verezzi, un’ ovazione per Foà
Magnifica Erica Blanc con tutta la compagnia

(…) Il pubblico viene contagiato da questo spettacolo, che spande ironia ma contemporaneamente induce anche a riflettere sul tema, sempre attuale, del rapporto generazionale tra padri e figli, tra vecchi e giovani.

Un successone, per Sul Lago Dorato, briosa commedia di Ernest Thompson, presentata in prima nazionale al 40° Festival di Borgio Verezzi (…)

La Stampa 06/08/2006

Lezioni Di Tenerezza
Novant’anni da Leone Foà a Borgio Verezzi Un Oscar ai sentimenti

la Repubblica 04/08/2006

Verezzi: con Foà sul “Lago Dorato”
Erica Blanc è  l’altra protagonista della commedia diretta da Panici

(…) Nello spettacolo, che ha la regia di Maurizio Panici e farà una lunga tournèe invernale, si affronta un tema sempre di grande attualità: la difficoltà di intesa e comunicazione fra generazioni e tra padri e figli (…)

La Stampa 03/08/06

I SONETTI DI SHAKESPEARE

IN COLLABORAZIONE CON LA CASA DEI RACCONTI

I SONETTI DI SHAKESPEARE

Scritto diretto e interpretato da Duccio Camerini

Traduzione Giovanni Lombardo Radice

Musiche e canzoni Germano Mazzocchetti

Collaborazione alla drammaturgia

Francesco Stabiani, John Mc Douville, Valentina Bischi, Brenda Mauceri, Lucilla Mininno

Costumi Silvia Duranti

sonetti_schNel 390° anniversario della morte di colui che ancora oggi in ogni parte del mondo viene ritenuto il più grande creatore di storie per il teatro, uno spettacolo che investiga i “Sonetti”, il suo libro più affascinante e segreto, per portare quelle pagine erotiche, filosofiche, precise come il filo di una lama, sul palcoscenico.

Harold Bloom li definisce da anni una “terrena commedia”. Già prima di lui, Jan Kott aveva visto il canzoniere shakespeariano come una sorta di materia teatrale, un dramma “nascosto”, con le sue azioni, i suoi eroi, un’incalzante progressione narrativa e uno spietato antagonista, il Tempo.

Da sempre tra i grandi classici, questi sonetti struggenti, ingenui, solari, a volte disperati, hanno l’immediatezza e la forza di qualcosa scritto appena ieri.

L’unico dramma di Shakespeare mai andato in scena, saremmo tentati di dire; ma in realtà l’intreccio tratto dai “Sonetti” trova nel nostro spettacolo riscontro in una storia di anime contemporanee, e viceversa; il triangolo amoroso, la scissione in due del protagonista, la passione, l’ossessione per il tempo, la poesia, la morte, si riverberano in un racconto, in un’indagine di sentimenti che procede parallela a quella sui troppi enigmi che da secoli spuntano dai “Sonetti” del Bardo. sonetti_01

Un incontro tra la poesia e il teatro di narrazione, dove i “Sonetti” sono incastonati a formare un contrappunto al racconto stesso che li contiene.

Uno spettacolo sui desideri che nessuno riesce mai completamente ad appagare, sull’amore e le sue “istruzioni”, su cosa ci rende davvero mortali, sull’arte e l’apparenza delle cose, su tutti noi, fragile umanità sparsa nel grande palcoscenico del mondo.

Rassegna Stampa:

“Sonetti, l’ enigma di Shakespeare”

 (…) Il drammaturgo-attore-regista ha realizzato un lavoro di teatro di narrazione allo scopo di portare la poesia vicino agli uomini, come lui stesso precisa. (…) I componimenti scelti da Camerini, quasi esclusivamente tra i primi 126, parlano d’amore, morte, della gioia di essere giovani, del tempo che passa, del potere della scrittura di sfidare la morte terrena. La novità di questo spettacolo consiste anche nella traduzione usata(…) Speciali sono anche le musiche, composte da Germano Mazzocchetti(…)

Simone Azzoni, L’Arena, 5 luglio 2006

“Camerini racconta la doppia natura del mito Shakespeare”

(…) Lo spettacolo propone i versi del Bardo nella nuova traduzione di Giovanni Lombardo Radice che, realizzata appositamente, dà vita a un testo che interseca aspetti poetici e biografici. A dare colore musicale contribuiscono le note di Germano Mazzocchetti(…)

Alessandra Moro, L’Arena, 6 luglio 2006

“I sonetti di Shakespeare”

(…) L’intreccio tratto dai “Sonetti” trova in questo spettacolo riscontro in una storia di anime contemporanee, e viceversa; il triangolo amoroso, la scissione in due del protagonista, la passione, l’ossessione del tempo, la poesia, la morte, si riverberano in un racconto, in un’ indagine di sentimenti(…) Un incontro tra la poesia e il teatro di narrazione, da  sempre punto di forza della compagnia “ La Casa dei Racconti”(…) Uno spettacolo sui desideri che nessuno riesce mai completamente ad appagare, sull’ amore e le sue “istruzioni”, su cosa ci rende davvero mortali, sull’ arte e l’ apparenza delle cose, su tutti noi, fragile umanità sparsa nel grande palcoscenico del mondo.

Gloria Bondi, CineLab.it

“Erotici, filosofici, umani i sonetti di Shakespeare”

(…) Non è un’ opera omnia poetica, con tutti i componimenti, questo florilegio che è un percorso trasversale scritto, diretto e interpretato adesso da Duccio Camerini.(…) E non è una traduzione convenzionale, quella che Giovanni Lombardo Radice ha plasmato in endecasillabi e versi sciolti. E non sono, non saranno solo erotiche, filosofiche o misteriosamente umane, le pagine qui trattate dei Sonetti, perché Duccio Camerini annuncia una struttura, una materia eminentemente teatrale(…)

Rodolfo Di Giammarco, La Repubblica, 21 luglio 2006

“Duccio Camerini mette in scena i misteri di Shakespeare”

(…)Viaggio nella passione e nel desiderio dominato da una guida d’eccezione come il massimo drammaturgo di tutti i tempi qui colto nella sua dimensione più lirica e intima, lo spettacolo mantiene intatta l’ambiguità della raccolta utilizzata come fonte in una corrispondenza profonda con la natura indefinita e sempre contraddittoria di tutti gli amanti(…)

Il Tempo, 21 luglio 2006

“I sonetti di Shakespeare”

(…)Sul palcoscenico Duccio Camerini “traghetta” l’anima dello spettatore in una eccitante indagine che ha come protagonista uno dei libri più affascinanti e segreti della letteratura mondiale. Ma la forza poetica del canzoniere shakesperiano viene trasmessa attraverso la follia di un pazzo qualunque e la curiosità di due amici che indagano sulla sua identità(…) Nel doppio ruolo di regista e protagonista, Duccio Camerini riesce a evitare una banale contrapposizione di versi, per dare vita ad uno spettacolo – monologo “visivo” dove la poesia si svela con grazia ed emozione.

Sonia Arlacchi, Nuova Agenzia Radicale, 13 agosto 2006

Giulio Cesare o della congiura

Giulio Cesare

o della congiura

da William Shakespeare

adattamento drammaturgico di   Maurizio  Panici

Regia  MAURIZIO PANICI

Scene FRANCESCO GHISU

Costumi MARINA LUXARDO

Con

EDOARDO SIRAVO (Antonio)

LEANDRO AMATO (Bruto)

MASSIMO REALE (Cassio)  

MAURIZIO PANICI (Ottaviano) 

ANDREA BACCI (Cinna) 

GIGI PALLA (Casca)

con la partecipazione di RENATO CAMPESE (Cesare)

Comunicato Stampa

Giulio Cesare è la prima vera tragedia problematica di William Shakespeare, anticipatrice della trilogia più famosa e conosciuta delle grandi tragedie (Amleto, 1601), (Otello, 1604), (Macbeth, 1606) dove l’autore ci presenta conflittualmente i turbamenti più profondi e i drammi non solo dell’animo umano, preda continua di emozioni e violente passioni, ma dell’universo stesso in cui tragicamente vive e opera.

Ed è questo ricollocare al centro l’operato individuale rispetto alla storia, che fa di questo “dramma romano” un esempio di come l’invidia di Cassio, la  problematicità di Bruto, o la stessa maestosità del ruolo di Cesare siano determinanti alla complessità della situazione storica e delle scelte conseguenti che la stessa impone. A partire da questa riflessione, questo Giulio Cesare si muove drammaturgicamente da un brusio indistinto fatto di voci, suoni e ossessioni al cuore di ognuno dei protagonisti, eliminando così ogni contesto storicizzante, isolando le ragioni di ognuno e riconsegnando la storia di un gruppo di uomini travolti dalle invidie, vinti dalle certezze, contagiati dalla crudeltà e dal caos, intrisi di furore e di tensione insopportabile mai acquietata se non di fronte alla morte.

 

NOTE DI REGIA

Shakespeare fa delle tragedie un condensato delle cronache regali e sottopone la storia a un processo di assolutizzazione che ne svela l’ immutabile meccanismo. La Storia è personale, ha nomi e pochi protagonisti, raramente vi fa la sua comparsa il popolo.

Nell’adattare il testo shakesperiano e quindi nell’elaborare l’idea di regia ho seguito la strada della sottrazione. Ho quindi alleggerito la struttura drammatica originaria, riducendo di conseguenza il numero dei personaggi, ed eliminato il contesto storico e politico, per porre al centro del lavoro l’azione, le passioni e le emozioni di ogni singolo personaggio. Ricollocare “al centro” l’operato individuale mi ha permesso di avvicinarmi alla parte più profonda e oscura dell’animo umano, di sondarla e di fare emergere per tale via tutta la modernità insita nel testo shakesperiano.

Da un brusio indistinto, fatto di voci, suoni e ossessioni emergono i protagonisti, uomini travolti dall’invidia, vinti dalle certezze, contagiati dalla crudeltà e dal caos, presi da una tensione insopportabile che può placarsi solo con la morte. I personaggi si stagliano con chiarezza in un luogo formalmente semplice e rigoroso, con forti richiami alla classicità, un luogo che racchiude un universo fatto di luci e ombre, dove la minaccia e l’inquietudine aleggiano continuamente. Questo universo mentale, evocato da un paesaggio sonoro ricco di suggestioni, prende la forma di un grande gioco di tattica e strategie, nel quale le parole hanno il potere di muovere all’azione e l’andamento dei pensieri si fa musica.

Gli attori diventano così “strumenti” della parola che, sola e libera da ogni inessenziale orpello, distilla significati “alti”, con continui affondi retorici e scatti emotivi.

La storia di Cassio, Bruto, Antonio e Ottaviano, diventa esemplare della storia di ogni singolo individuo, in ogni tempo, perché è difficile sottrarsi a passioni ancestrali ed emozioni violente quando si è forniti di “carne e sangue e dotati di intelletto” come Shakespeare fa dire a Giulio Cesare nel suo ultimo monologo. In questo senso il “Giulio Cesare” è l’opera più vicina alla tragedia greca, perché va al cuore stesso del senso tragico e ne rivela il significato.

Lo spettacolo, prendendo spunto da queste riflessioni, punta a essere una analisi emozionale/emozionata dei protagonisti e della esemplarità del loro ruolo e condizione e sceglie la via “antropologica”, che d’altronde lo stesso Shakespeare indica, per una analisi profonda dell’animo umano. Uno spettacolo questo dove il “calore dei corpi” si raffredda e si stempera nell’esercizio verbale/mentale dei protagonisti.

Maurizio Panici

Rassegna Stampa

Da Edipo a Giulio Cesare indagine sulle tenebre dell’uomo

(…) Per la prima volta a Tindari abbiamo uno Shakespeare che rivela una intramontabile modernità

(La Repubblica, 18 maggio 2008, Marco Oliveri).

Uomini schiacciati dall’avidità del potere
Quante analogie fra il dramma dell’antica Roma e l’universo politico contemporaneo

(…) Possente sceneggiatura di fatti storici, convenientemente sfrondata, rappresentata con successo a Tindari, con notevole dignità di impianto strutturale, di recitazione e di coerenza interna.

Un apprezzabile cast di attori, diretto da Maurizio Panici, ha fatto di questo capolavoro un interessante spettacolo di azione, di pensiero e di riflessioni. Edoardo Siravo ha dato al suo Marco Antonio quel taglio psicologico equivoco, un  po’ machiavellico e un po’ cinico (…) il famoso elogio funebre di Cesare, Siravo lo carica di una lapidaria irruenza, di una forza oratoria tanto teatralmente efficace quanto eticamente sfuggente. Leandro Amato(…) si muove sulla scena con sicurezza e padronanza di mezzi espressivi. E così pure Massimo Reale nel personaggio di Cassio (…) una bella prova teatrale la sua(…). A questi ruoli centrali si affiancano con pari spessore professionale quelli di Andrea Bacci e Gigi Palla.

(…) Della regia di Panici va evidenziata l’analogia del dramma romano con il turbinio e le inquietudini dell’universo politico contemporaneo. (…) Contestualmente alla singolarità del teatro greco le scene di Francesco Ghisu.

(Gazzetta del Sud, 27 maggio 2008, Salvatore Di Fazio)

Giulio Cesare, se il potere è malattia

All’inizio tirano di fioretto il Cassio di Massimo Reale e il Bruto di Leandro Amato in questa essenziale e rigorosa messinscena di Maurizio Panici del Giulio Cesare di Shakespeare. E mentre i due duellano, quasi per vezzo, in abiti militari riconducibili ai nostri giorni (costumi di Marina Luxardo) su uno spazio dai colori grigi e rossa – Magenta (scena di Francesco Ghisu), a metà tra una palestra e un’aula di parlamento, sul cui scranno centrale si possono leggere tre parole malate liberty, freedom, enfranchisement, i due schermidori esprimono i loro timori per le sorti della libera repubblica romana. Timori che potranno cessare solo uccidendo Cesare (in vestito bianco – spalline dorate – cravatta rossa, un autorevole Renato Campese) in una congiura che avrà il suo culmine alle Idi di marzo quando il dittatore si buscherà 33 coltellate, qui inflitte da un quartetto di morte capitanato da Bruto e Cassio, da Cinna (Andrea Bacci) e Casca (Gigi Palla) coperti dai classici caschi degli schermidori. Una morte preconizzata in sogno dalla moglie Calpurnia, che non apparirà in scena, come non apparirà in scena alcuna donna in questa versione di Panici. I cospiratori lo uccideranno in nome d’una libertà e d’una pace che si riveleranno utopie, idee perdenti che naufragheranno di lì a poco perché i galli nel pollaio sono troppi e il potere logora chi non ce l’ha. Si rivedranno tutti a Filippi, in un agone a quattro, qui sintetizzato da colpi di fioretto, che raggiungerà il suo culmine col suicidio di Bruto e Cassio e con Ottaviano (lo stesso Panici, quasi un militare della rivoluzione bolscevica) e Marc’Antonio che prenderanno le redini del potere. Di grande effetto drammatico le musiche di Marco Betta e molto applaudito il discorso astratto di Bruto quando giustificherà il suo operato davanti a un popolo che lo acclamerà ugualmente come salvatore della patria, mentre l’orazione funebre di Marc’Antonio, invero un po’ ruffiana, declamata da un possente e convincente Edoardo Siravo in abito nero e cravatta rossa, infiammerà gli animi nel rievocare generosità e valore dell’ucciso e in particolare quando indicherà lo squarcio nel mantello di Cesare inferto dal figlio “il più crudele colpo di tutti”.

(Giornale di Sicilia, 27 maggio 2008, GI.GI.- Gigi Giacobbe)

“Cesare”, la politica terra di conflitti

Quando un popolo si abitua alla violenza e agli abusi non riesce più a trovare il senso della convivenza civile. Così alla fine del Cinquecento amaramente annotava Shakespeare nel suo Julius Caesar, presagendo analoghi orrori per tutte le civiltà avvilite dalla faziosità, dallo scontro, dalla violenza. Quando questi accenti sono risuonati nell’antica cavea del teatro affacciato sul mare di Milazzo un fremito ha percorso l’uditorio sempre più folto del Teatro dei due Mari: quel monito va oltre lo spettacolo, oltre la letteratura: è il senso della civiltà. Il regista Maurizio Panici, autore dell’adattamento  e della traduzione aderentissima al testa, ma senza retorici fronzoli, insiste sul concetto politico, inscrivendo in lettere capitali sul lineare impianto scenico di Francesco Ghisu, il trinomio scespiriano della democrazia: Liberty, freedom, enfranchisement., gridato da Cassio sulla radice latina, sassone e francese della civiltà inglese, paramento spesso solo esteriore per coprire interiore abusi: quanti giustificano i torti appellandosi alla giustizia suprema?

Tema di straziante dibattito, che coinvolge immediatamente lo spettatore, lo fa riflettere sulle apparenze e le realtà di chi governa e di chi si oppone. L’analisi esposta contro il dittatore romano vale per i regimi assoluti di ogni tempo. Le inutili pretese dei cesaricidi si riconoscono nei proclami dei demagoghi di ogni età.

Questo allestimento va dritto al problema. I costumi di Marina Luxardo aggiungono una toga posticcia agli abiti civili o militari di oggi (efficacissima commistione che subito chiarisce lo scopo); la vasta orditura elisabettiana viene ridotta alle linee essenziali. Eliminati i ruoli di contorno e i ruoli femminili in questo che è un dramma marziale.

La scelta del cast è adeguata alle ideologie dei personaggi. Edoardo Siravo è un Marco Antonio epico, che non ha bisogno di retorica per fare vibrare le emozioni civili e gli affetti sinceri. Quando parla degli honourable men che hanno rovinato Roma, un fremito percorre l’uditorio pensando ad altri onorevoli. Qui il teatro diventa sublime studio della politica. Di contro la tormentata ideologia dell’intellettuale Bruto è rivestita di forza inflessibile da Leandro Amato, che ne fa vivere l’eroico epilogo nel finale suicidio. Forti, accesi, i caratteri dei rivoluzionari Cassio (Massimo Reale) e Casca (Gigi Palla), variegati di sfumature politiche quelli di Ottaviano (Maurizio Panici), Cinna (Andrea Bacci) e soprattutto di Cesare al quale Renato Campese aggiunge  le annotazioni di miope vanità dell’uomo di potere che si crede onnipotente dimenticando che può essere fermato da un coltello. Insomma è un lavoro che tocca le corde dell’umanità politicamente associata, che plutarchianamente ispira grandi ideali e abbatte molti monumenti. Il pubblico, non importa se giovane o meno, è stato trascinato da queste analisi sulla politica e sulla violenza in politica ed ha applaudito lungamente come il Populus Romanus evocato in scena. E’ un merito che non finiremo mai di elogiare nel Teatro dei due Mari che sa fa rivivere i classici come specchio morale per il presente.

(La Sicilia, domenica 8 giugno, Sergio Sciacca)

Sinfonia d’autunno

SINFONIA D’AUTUNNO

Di Ingmar Bergman
Con MARCO BALBI
Scene ALDO BUTI – Costumi LUCIA MARIANI – Luci FRANCO FERRARI
Musiche Edvard Grieg – Frédéric Chopin
Ambientazione sonore di Stefano Saletti

Regia MAURIZIO PANICI

“Ci sono donne così. Rifiutano di essere disturbate dai loro figli. Non vogliono perdere tempo con i loro problemi. Hanno la loro vita, la loro carriera. Tutto il resto non conta.
E’ di una donna così che ho voluto parlare”

Ingmar Bergman

Antefatto

Eva e’ sposata con un pastore protestante,Viktor,insieme al quale abita nella canonica.
Charlotte, la madre di Eva, è una pianista famosa e molto raramente fa visita alla figlia.
Eva ha sollecitato con una lettera la madre a un nuovo incontro,atteso da lungo tempo.
Charlotte arriva all’improvviso.

Note di regia

sinfonia_02Trentasei ore, tanto dura l’incontro tra Charlotte e Eva. Trentasei ore in cui l’autore scava nel rapporto tra le due donne:e sono parole di odio/amore, i sentimenti che hanno segnato l’intera relazione tra madre e figlia.
Testimone degli eventi è il marito di Eva.
Charlotte, la madre, in quelle ore parla delle proprie amarezze e solitudini, le svela alla figlia, lo fa forse per la prima volta senza difese, senza maschere. Anche Eva cerca di raccontarsi nelle sue difficoltà, ma le parole che escono non sono quelle giuste e il conflitto sembra non potersi risolvere, il perdono appare impossibile anche se il cordone ombelicale non si è mai spezzato: “non si finisce mai di essere genitori e figli”.

“Sinfonia d’autunno” è e rimane una “storia d’amore” speciale tra due donne dipinte con crudezza e nitore da uno dei più grandi “esploratori” di sentimenti che il secolo scorso ci ha regalato.

Naturale successore di August Strindberg, (non a caso si laurea in Storia della letteratura con una tesi su di lui) per la qualità della scrittura, per l’asprezza del dialogo, per le tematiche affrontate nella sua lunga carriera, Bergman non ci offre un finale consolatorio: tutto resta aperto, non è detto se le due donne si riconcilieranno.

La scena concepita da Aldo Buti , l’interno di una canonica norvegese, con il suo nitore abbagliante, esalta ancora di più la notte in cui le due sinfonia_01portano alla luce i fantasmi e le ombre del loro passato.

Lo spazio è fermato nel tempo, scandito solo da luci che impietosamente traghettano le due protagoniste verso il culmine del loro incontro.

Il mattino vedrà la partenza anticipata di Charlotte.

Due attrici di grande carisma e straordinaria bravura e profondità sono le protagoniste eccezionali dello spettacolo: Rossella Falk e Maddalena Crippa, per la prima volta insieme.
Maurizio Panici

Rassegna Stampa:

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