Love

ArTè Stabile di Innovazione

Con il Patrocinio di
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Ministero della Gioventù

LOVE

un racconto di Susanna Tamaro
drammaturgia e regia Emanuela Giordano
musiche originali Fiore Benigni

con Mascia Musy

un progetto di Emanuela Giordano e Mascia Musy

LOCANDINA_Love_okVenduta come un pollo da batteria ad un’organizzazione di sfruttatori, messa sulla strada a procacciarsi denaro, Vesna è ancora una bambina quando, un giorno, incontra per caso un uomo che le sorride, le da fiducia, la ospita a casa sua, la lava, la veste, la nutre. E’ l’uomo dell’amore, un amore che lei non ha mai avuto, un amore che lei accetta come un dono quasi sovrannaturale. Poi torna per strada in attesa che l’uomo dell’amore torni ma lui non si vede più. Vesna scoprirà allora di essere stata, ancora una volta, truffata dalla vita.
Un evento imprevedibile è destinato a segnare la sua fragile esistenza

. “Venticinque anni fa, andando a lavorare, passavo sempre in bicicletta per Ponte Sisto, a Roma. Lì c’era una ragazzina zingara che chiedeva l’elemosina e mi colpì il suo sguardo di sconfinata tristezza”. A distanza di anni Susanna Tamaro ricorda così l’incontro da cui nacque l’idea di Love, uno dei racconti di Per Voce Sola, uscito nel 1991. Protagonista un’adolescente rom alle prese con un destino che si subisce e che non si sceglie. Oggi quel testo diventa una favola teatrale. Anzi “una ballata epica – come spiega la regista – dedicata all’infanzia meno amata, quella di cui ogni giorno diffidiamo e con cui non sappiamo fare i conti. E’ l’infanzia dei bambini rom, al centro di polemiche, dibattiti e leggi che non ci hanno aiutato a capire realmente la tragedia di un destino anomalo”.

E’ raro che un’attrice si sperimenti e si offra nell’esperienza affabulatoria, senza quarta parete, senza finzioni, senza un personaggio con cui difendere la propria segreta personalità. Qui Mascia Musy, nel 2008 Premio Ubu e Premio Eti Olimpici del Teatro come migliore attrice protagonista, affronta con coraggio, poesia e attiva adesione al progetto quello che ci auguriamo diventi uno spettacolo da ricordare.

Emanuela Giordano

Antigone

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ANTIGONE 
di Jean Anouilh

traduzione e adattamento Maurizio Panici

scene Daniele Spisa costumi Marina Luxardo
musiche Stefano Saletti luci Franco Ferrari
regia Maurizio Panici

Ad un secolo dalla nascita di Jean Anouilh, celebre scrittore, regista e drammaturgo francese, torna in scena il suo lavoro più celebre e discusso, Antigone.

Secondo la definizione di Holderlin, l’Antigone è la natura stessa del Tragico: l’insanabile conflitto tra la legge non scritta (oikos), che muove Antigone per la sepoltura del fratello e la legge dello stato (polìs,) emanata da Creonte, creano una tensione insostenibile per tutta la durata della rappresentazione. Anouilh rende esemplare questo scontro in una scena memorabile tra i due protagonisti, dove Creonte è interpretato da uno degli attori più interessanti della sua generazione, Roberto Latini. Maurizio Panici che cura regia, traduzione e adattamento, pone il conflitto in uno spazio atemporale dove si svelano tutte le sfumature psicologiche ed emotive suggerite dall’autore.

Note di regia

Lo spostamento operato da Anouilh rispetto alla tragedia di Sofocle, dalla contrapposizione tra leggi divine e leggi dello stato, ad un conflitto di sentimenti, è la ragione della nostra scelta.
Creonte e Antigone sono le facce di una stessa medaglia e si riflettono continuamente, rinviando il conflitto come in un gioco di specchi: conflitto eterno tra vecchiaia e giovinezza, maschile e femminile, sfera dell’intimità privata e sua profanazione pubblica.
“Antigone” è tragedia dell’oggi, del dubbio e dell’inquietudine, conflitto tra le leggi del cuore e osservanza delle regole, linea di confine dove l’ideale giovanile si misura con l’acquisita responsabilità.
La struttura stessa della tragedia di Anouilh è distonica: se l’impianto drammatico è moderno, le didascalie sembrano indicazioni per la sceneggiatura di un film (“con un impercettibile sorriso” , “le stringe le braccia”, “con lo sguardo perduto”…).
La scrittura è epica e nello stesso tempo quotidiana e minima, il conflitto con l’assoluto enorme ma reso in maniera piana, parlata e non urlata. Tutto è dichiarato, fin dal prologo che apre lo spettacolo illustrando i personaggi che reciteranno la storia.
Anouilh coglie in questo modo un aspetto sostanziale della tragedia (pur trattandolo in forma apparentemente privata), la caducità e l’inutile affanno dei “piccoli” protagonisti immersi in un contesto “grandioso” di insostenibile presenza del destino.
Lavorando in questa direzione, la scenografia, più che uno spazio scenico, è un “segno”, forte e assoluto, che rende determinati i rapporti anche fisici tra gli interpreti, la cui recitazione è tesa verso l’assoluta sincerità. I gesti sono essenziali e lasciano spazio alla parola che torna così al suo ruolo principe.
La presenza di un coro (filo rosso della Storia che unisce la tragedia di Sofocle all’oggi) e la musica fortemente evocativa, contribuiscono a riportare Antigone alla sua forza originaria dopo avere attraversato il quotidiano e il presente.

Maurizio Panici

L’Autore è rappresentato dall’Agenzia MCR, Marie Cécie Renauld di Parigi e, per l’Italia, i diritti della presente Opera sono tutelati dall’Agenzia Danesi Tolnay di Roma

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Rassegna Stampa:

KVTECH

ArTè Stabile di Innovazione /  Network Nuove Sensibilità

in collaborazione con
Infinito snc – Teatro Miela/Bonawentura (TS) – Ass. Cantharide

KVETCH
(Piagnistei)
di Steven Berkoff

con Ivan Zerbinati , Laura Bussani, Simone Luglio, Federico Giani

regia  Tiziano Panici

scene e luci Nicola Bruschi
musiche originali David Matteucci
costumi Anita Ferri
tecnico  luci Paolo Meglio
ideazione grafica Angelo Sindoni
produzione esecutiva Pierfrancesco Pisani

Loc_Kvetch_forkIn Kvetch, che in ebraico significa piagnistei, Berkoff dipinge in modo caustico e graffiante un apparentemente normale quadretto familiare. Scrive l’autore che la commedia è dedicata a chi ha paura, ossia a tutti. Oggi abbiamo paura degli uomini, delle donne, delle guerre, della morte, delle malattie, della disoccupazione e delle bollette da pagare. Abbiamo paura di ingrassare, di essere stupidi, di non capire una barzelletta, di fallire. La commedia è costruita su una geometria precisa, che non lascia scampo: i dialoghi, specchio di una scialba quotidianità, sono continuamente interrotti dai pensieri dei personaggi e dai loro monologhi interiori rivelando quello che è il messaggio più forte del testo: l’umanissima discrepanza fra ciò che si fa e ciò che si vorrebbe fare, e la contraddizione in cui tutti, prima o poi, si cade, quando si ottiene l’opposto di ciò che si aveva prima e si desidera tornare alla situazione precedente.
Il plot è piuttosto banale, pressoché inesistente, una storia di letti, di coppie che si disfano e si formano. C’è Frank, marito annoiato e lamentoso, che scopre di essere omosessuale e ha una relazione col suo collega appena abbandonato dalla moglie; c’è Donna, la moglie frustrata di Frank che sogna di essere violentata da due spazzini e ha una relazione con un cliente del marito; c’è la vecchia, imbarazzante e onnipresente suocera. Ma è quello che c’è dietro ad essere interessante: i cinque personaggi si muovono, infatti, su una doppia linea, e lo spettatore ne vede non solo i gesti, ma anche i pensieri. I banali dialoghi sono costantemente interrotti da alcuni brevi monologhi in cui i personaggi finalmente riescono a dar voce ai loro reali pensieri. I pensieri sono liberi. Liberi ma visibili e vivibili; in Kvetch troverete i segreti, nevrotici e paranoici di borghesi dalle vedute ristrette, frustrati, che celebrano un gioco di scambi senza barriere tra sogno e realtà. In tal modo Berkoff mostra spietatamente la distanza che esiste tra ciò che un uomo dice e fa e quello che pensa. Ad essere analizzata e messa alla berlina non è soltanto la famiglia quindi, ma l’individuo stesso, mostrato in tutta la sua umana debolezza. La parola dell’autore è pungente, beffarda, urticante.

Il valore del coraggio si misura in un momento, nell’attimo di una scelta. Anche il valore di un uomo si misura su quel tempo.
Questo è il segreto che Cristo sussurrò nelle orecchie dell’implacabile Ponzio Pilato poco prima della sua condanna.

È il coraggio che permette alla verità di esistere. Non esistono uomini coraggiosi per tutta la durata della loro vita. Chi è convinto che esistano o che siano esistiti non è che un violento, sconsiderato criminale. Un codardo.
E voi sapete di esserlo?
Io sono un codardo. Questo è quello che penso. È quello che pensava Steven Berkoff di sé stesso mentre scriveva questa commedia. Perché da quando ha iniziato il suo difficile percorso artistico come attore, autore e regista, scegliendo le strade più sinistre e pericolose, non ha mai smesso di combattere per affermare il suo pensiero con onestà. Ma cosa resta a un uomo quando viene meno il coraggio?
Il rimpianto.
È di questo che parla il testo.
Lamentarsi con se stessi e con il prossimo. Piangere la sconfitta_ quella vera. Non esiste niente di più insopportabile.
Piagnistei. Una parola davvero orribile.  

Tiziano Panici

 

Tutti noi viviamo con la paura d’aver paura
Paura di fallire, paura di esporsi, paura di dire quello che si pensa
Questo spettacolo è dedicato a chi ha paura 

Steven Berkoff

Estratti stampa:

 

KVETCH – PIAGNISTEI

Nuove Sensibilità A Corte
Sette debutti nazionali di realtà giovani e nostrane, presentati dal Progetto Nuove Sensibilità nell’ambito di Teatro a Corte 2009, pressati in tre giorni intensivi: si è visto uno spaccato abbastanza esaustivo delle tendenze del nuovo teatro italiano. Quasi tutti testi o partiture originali, tranne uno: Kvetch (Piagnistei) di Steven Berkoff, realizzato da Infinito di Pierfrancesco Pisani.. E’ l’unico allestimento in cui la creatività under 35 si è espressa attraverso la regia di Tiziano Panici e soprattutto l’interpretazione dei bravi Ivan Zerbinati, Laura Bussani, Jacopo Bicocchi, Simone Luglio.
Soprattutto perché, nel bene o nel male, va sempre riconosciuta agli attori una responsabilità maggiore (sono loro i corpi e facce che il pubblico giudica in primis). Kvetch è una pièce ormai considerata classica nella drammaturgia contemporanea inglese, frutto della fantasia di uno scrittore di successo ma controcorrente.
E’ già meritevole che un ensemble di ultima generazione affronti un autore, ponendosi fuori dal coro nutrito degli adattamenti, aggiustamenti, confezionamenti di opere ad hoc, redatte sulle proprie corde; naturalmente non tutti i drammi originali difettano, talvolta capita che un’effettiva esigenza di raccontare nuove storie sposi il coraggio al talento. Ma è dimostrazione di audacia anche scegliere oggi il proprio ruolo, sia essa d’attore o di regista, ed esprimerlo attraverso l’adesione ad un testo d’altri.
Ben venga se poi la commedia è briosa e divertente, sgretola le ipocrisie, rende paralleli i due piani del detto e dell’inespresso, svelando con ironia le mille bugie di cui siamo colpevoli e vittime e lasciando alla fine liberi i personaggi di soffocare i piagnistei per agire davvero come meglio credono. Qui l’ufficialità è in lingua e l’interiorità in dialetto, c’è un tavolaccio che si trasforma in letto e pochi altri oggetti, per una messinscena energica e sorprendente. Uno spettacolo da vedere, nella stagione entrante 2009/2010.

Maura Sesia

http://www.sistemateatrotorino.it/editoria/recensioni/testi/nuove_sensibilita.html

KVETCH (Piagnistei)

Tiziano Panici ha proposto e diretto questa che è l’unica drammaturgia della sezione che più direttamente si confronta, quasi combattendovi, con un testo drammatico forte. In scena Ivan Zerbinati, Laura Bussani, Jacopo Bicocchi e Simone Luglio. Il dramma di Steven Berkoff è un testo duro, arrabbiato come nella migliore tradizione della drammaturgia europea contemporanea, e racconta di vite incapaci di comunicare, di confondersi e legarsi una con l’altra e forse per questo destinate alla perenne sconfitta e alla solitudine. La pièce elimina ogni riferimento naturalistico ed utilizza il testo come metafora di una condizione metafisica, che trasforma le esistenze in ruoli che ripetono coattivamente le proprie pulsioni senza elaborarle. Marito, moglie, suocera ‘imbarazzante’, collega e datore di lavoro si ripropongono continuamente come monadi all’interno delle quali l’altro giunge come eco di un sogno perennemente coltivato. È una situazione senza uscita espressione di un pessimismo profondo che il drammaturgo utilizza ed esibisce con violenza quasi a colpire e scuotere lo spettatore. La riscrittura scenica del testo drammatico peraltro si arricchisce di meticciamenti linguistici che tentano di dare concretezza ed identità ad esistenze altrimenti anonime, lasciando intravvedere nella rappresentazione un tentativo, la ricerca di una via di uscita.

Dramma.it di Maria Dolores Pesce

(…) si dimostra sorprendentemente maturo, soprattutto rispetto alla giovane età del regista e interpreti Kvetch (…) ottimo ritmo, bravi attori, belle invenzioni registiche fatte con niente riescono a far funzionare egregiamente il non facile testo di Berkoff.

Hystrio Laura Bevione e Claudia Cannella

Divorzio con sorpresa

ArTè Stabile di Innovazione / Teatro Artigiano

Paola Gassman e Pietro Longhi

DIVORZIO CON SORPRESA
(Moment of weakness)
di Donald Churchill
traduzione e adattamento di David Norisco

con Elisa Gallucci

scena  Mario Amodio
costumi Lucia Mariani 
luci Franco Ferrari 

regia MAURIZIO PANICI

divorzio_locandina_35x70_emailDIVORZIO CON SORPRESA (Moment of weakness) di Donald Churchill, protagonisti Paola Gassman  – che torna dopo il grande successo ottenuto con “L’appartamento è occupato!” – e Pietro Longhi: la storia di una coppia che si è lasciata da anni con molti nodi in sospeso  che si incontra nuovamente per mettere in vendita la casa di campagna ancora in comune. In questa occasione, con molta ironia e a volte anche con una forte malinconia, mentre si dividono mobili e oggetti, si intrecciano ricordi, rabbie, tradimenti, vecchi rancori e nuovi dispetti.
Il tutto in un crescendo insieme irresistibilmente comico ma anche romantico.

L’intervento della figlia complica ancora di più le cose: tra un matrimonio che si dovrebbe fare e un bambino che nasce all’improvviso, si va verso un finale imprevedibile, dove ancora una volta la storia si rovescia.
Tanto umorismo, molte verità più o meno amare, per ritrovare le ragioni di  un sentimento forte e antico perduto nel trascorrere monotono della quotidianità familiare.

“SE E’ AMORE DOVETE DIVORZIARE”

Chi divorzia è perduto! Possiamo pensarla così a proposito degli ex coniugi che danno scosse di affettuoso terremoto alla commedia di Donald Churchill “Divorzio con Sorpresa” in scena all’Erba fino a domenica con la regia di Maurizio Panici e l’interpretazione di Paola Gassman e Pietro Longhi. I due si ritrovano dopo lunga separazione per dividersi i mobili della loro antica casa comune. Nel frattempo ciascuno, come si dice, ha fatto la sua vita. […] La seconda parte, con l’arrivo in scena della pimpante e fresca Elisa Gallucci (la figlia fricchettona della coppia), il lago s’increspa, le acque si agitano e la situazione ne ricava benefici sussulti. Si scopre perciò che niente è come sembrava. […] Questa lunga schermaglia, che approda alla conclusione già intuibile all’inizio, è condotta dalla regia di Panici sullo schema acidulo della sit – com e si regge, ovviamente, sull’interpretazione dei protagonisti. Ed ecco una Paola Gassman in gran forma, che sa mettere brio anche negli aspetti più antipatici del suo personaggio di donna che non ne lascia passare una. Pietro Longhi gioca benissimo di rimessa e sa essere pateticamente comico quando si trova a fronteggiare situazioni impreviste o addirittura sconosciute. Il finale delicatamente coniugale strappa al pubblico interminabili applausi.

La Stampa, 24 febbraio 2011, Osvaldo Guerrier

Rassegna Stampa

Atridi

Associazione Teatrale Pistoiese / ArTè Stabile di Innovazione / Teatro dei due mari

PAMELA VILLORESI                                     DAVID SEBASTI

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ATRIDI
di Michele Di Martino
dall’Orestea di Eschilo

con Renato CampeseSilvia Budri Da MarenAndrea BacciAlessia InnocentiMaurizio Panici

impianto scenico di Arnaldo Pomodoro realizzata da Giorgio Gori
costumi di Dialmo Ferrari – musiche di Stefano Saletti

regia di MAURIZIO PANICI

Orestea/ Atridi nasce dall’esigenza forte di rileggere il mito di Oreste calandolo in una realtà che appartenga al nostro presente. La domanda era: quale codice barbarico è ancora vivo oggi? Quale codice affonda le sue radici lontano nel tempo, ma continua a conservare una sua validità nelle pieghe, o meglio nelle piaghe, di questa società? Ci è parso che la cultura e il codice mafioso potessero sostenere opportunamente la nostra idea di contestualizzazione. La saga degli Atridi diventa la storia di una famiglia di potere e di mafia, abituata a risolvere i conflitti con l’uso sbrigativo di una giustizia privata che si scontra inevitabilmente con la società civile.
Ma Orestea è anche il viaggio di Oreste alla conquista della propria maturità di uomo, un percorso che corre parallelo al cammino della società civile verso la democrazia, verso l’abbandono della barbarie e la conquista della norma, del diritto.

Maurizio Panici

Appuntamento a Londra

Appuntamento-a-Londra-locandinaAssociazione Teatrale Pistoiese / ArTè Stabile di Innovazione
In collaborazione con
Spoleto 52 – Festival dei 2Mondi

PAMELA VILLORESI DAVID SEBASTI

APPUNTAMENTO A LONDRA
di Mario Vargas Llosa
premio Nobel per la letteratura 2010

traduzione Ernesto Franco / scene Francesco Ghisu
costumi Lucia Mariani / luci Emiliano Pona / musiche Germano Mazzocchetti

 

regia MAURIZIO PANICI

“Appuntamento a Londra” è una novità assoluta per il teatro, scritta da Mario Vargas Llosa – uno dei più apprezzati scrittori di fama mondiale – che anche in questo testo propone alcune delle suggestioni a lui più care.
La storia che racconta è una acuta e profonda riflessione sul tema dell’identità e sulla vita segreta delle persone.
Lo spettacolo è anche un’indagine sui valori dell’amicizia e dei sentimenti, su quel sottile filo che ci lega come esseri umani, come attrazione profonda dell’uomo per l’altro da sé.
Due amici d’infanzia e gioventù, entrambi peruviani, si ritrovano a Londra dopo molti anni durante i quali non avevano avuto più contatti. Nel loro incontro rivivono il passato, mescolando bei ricordi con brutte storie che credevano oramai sotterrate o delle quali, forse, ignoravano l’esistenza.
Un teatro fortemente ispirato dalla letteratura in uno scambio fertile tra i diversi linguaggi espressivi.
Il cast attoriale dello spettacolo vede ancora una volta la presenza di un’attrice protagonista indiscussa del teatro italiano, Pamela Villoresi insieme a David Sebasti.

Note di regia

Un uomo, realizzato, pienamente occupato, apparentemente felice, in una pausa tra un viaggio e una riunione di lavoro, viene sopraffatto da una inquietudine che mette in moto un viaggio soggettivo e interiore, fortemente onirico che lo pone di fronte a se stesso, alle sue fantasie più segrete, a un gioco di specchi e rifrazioni nel quale stenta a ri/trovarsi.
Le proiezioni fantastiche che affiorano dal profondo del suo essere, prepotenti e inarrestabili, attivano e generano un “altro” da sé, attrattivo e repulsivo, fortemente seduttivo.
L’incontro pone l’uomo di fronte alla sua possibile altra identità: come un giano bifronte egli si specchia, “la sua vita segreta” esplode in una serie di variazioni possibili, tutte vengono esplorate, ri/vissute o ri/create.
Lungo tutto il tempo dello spettacolo le “identità” si rincorrono, si fronteggiano fino a una soluzione possibile, sempre e comunque aperta.

L’identità: è questo il tema centrale del testo.
E quel complesso di pulsioni/emozioni sogni e comportamenti che formano nel corso della nostra vita quella che chiamiamo “personalità”, nel protagonista dello spettacolo trovano la più aperta delle rappresentazioni; le possibili vie, le diverse possibilità sono percorse con ansia e desiderio fino a una conclusione non banale, affascinante, temuta, desiderata.

T. S. Eliot nei “Quattro quartetti” scrive:
“… ciò che poteva essere e ciò che è stato
tendono a un solo fine che è sempre presente.
Passi echeggiano nella memoria
lungo il corridoio che non prendemmo
verso la porta che non aprimmo mai
sul giardino delle rose …”.

È in questo crinale, in questa zona di confine, che i protagonisti si muovono continuamente, in bilico tra un mondo reale e uno immaginario altrettanto concreto e vissuto con la stessa intensità della vita vera.
Il testo di Vargas Llosa è un enigma, uno scandagliare la parte più profonda e nascosta di ogni essere umano: come egli stesso afferma “un argomento che mi ha sempre appassionato …la finzione e la vita, il ruolo che quella gioca in questa, la maniera con cui l’una e l’altra si alimentano e si confondono, si respingono e si completano in ogni destino individuale … e il palcoscenico è lo spazio privilegiato per rappresentare quella magia di cui è fatta anche la vita della gente: quell’altra vita che inventiamo perché non possiamo viverla davvero, ma solo sognarla grazie alle splendide bugie della finzione”.
Il nostro spettacolo è un gioco teatrale che si avvale anche di linguaggi complessi, immagini proiettate e percepite come fantasmi, che aiutano a rivelare scomode verità sepolte nel profondo del protagonista.
La scena è uno spazio concreto che continuamente apre a una serie di altre possibili visioni, creando così nello spettatore una vertigine, aiutandolo a rompere una visuale del quotidiano verso un altrove possibile, verso un mondo diverso da quello reale.
Le musiche originali sostengono questo progetto evocando altri mondi possibili, nostalgie e luoghi perduti, un giardino della memoria che mai risulta essere consolatorio.
La macchina teatrale asseconda e sostiene gli attori impegnati in questo difficile percorso al fine di aiutarli a creare e ri/creare continuamente quella complessità che risponde al nome di identità.

Maurizio Panici

Rassegna Stampa

Cantata

Associazione Teatrale Pistoiese / ArTè Stabile di Innovazione

CANTATA PER LA FESTA
DEI BAMBINI MORTI DI MAFIA
di Luciano Violante 

 

con (i. o.a.)
Federico Giani, Alessia Innocenti, Rocco Piciulo, Alice Spisa, Giulia Weberregia MAURIZIO PANICI

scena Giorgio Gori 
scenografia digitale Andrea Giansanti
luci Emiliano Pona 
musiche Stefano Saletti 

Un vento
Ci vuole un vento che passi per tutta l’Italia
Suggerirono in un fiato le donne
Che come il soffio di quei bambini con le palle
Di biancospino
Sospinga il coraggio e l’indignazione
Faccia lievitare la dignità
E la voglia di libertà 

(estratto dal capitolo 26)

La Cantata di Luciano Violante è un testo insieme durissimo e struggente, dove le vittime delle violenze criminali di mafia osservano dal loro aldilà le tristi vicende terrene, avvelenate dal crimine, dalla complicità, dall’omertà e dall’inerzia morale.
Al centro di questa folla di uccisi stanno i bambini vittime della mafia, per i quali la pietà e la tenerezza degli adulti, donne e uomini, creano una festa che è amore e speranza.
Nella Cantata il discorso politico e l’indignazione civile ritrovano la pienezza del loro significato e le loro radici profonde nei sentimenti elementari, l’amore e la sofferenza, la solidarietà e il senso di giustizia. La tragedia che chiamiamo mafia si rivela qui nella sua nuda essenza di offesa all’umanità.
Benché l’autore si scusi coi poeti perché “non ha inteso, né avrebbe saputo entrare nel loro campo”, la sua Cantata è l’esempio di un ritorno all’uso della poesia come linguaggio destinato ad una udienza collettiva.

Un intenso oratorio civile per uno spettacolo davvero speciale che debutterà a Pistoia nel Novembre 2011, con repliche successive anche a Monsummano Terme, Pescia ed a Orvieto, all’interno di un Progetto per le Scuole Superiori incentrato sulle tematiche della Legalità. In scena un gruppo di giovani interpreti di talento, coordinati da Maurizio Panici.

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